Cari lettori,
partiamo dall’A B C e
non a caso la terza lettera è l’iniziale di “Classico”. Nel
primo post di questa sezione ho introdotto la possibilità di
confrontarci, in questo spazio tutto nostro, sui classici,
quei libri che ci vengono consigliati ma di cui spesso non riusciamo
a cogliere l’importanza.
Quante volte vi sarete
chiesti perché debbano leggersi per forza, a cosa servono?
Immagino molte e forse è giunto il momento di fare un po’ di
chiarezza, ma soprattutto di provare a chiedersi Perché non
leggerli?
Nel cominciare non posso
trascurare la definizione letterale del termine classico, come
qualcosa che si erge a modello di un genere, di un gusto, di una
materia artistica, a fondamento di una tradizione, con riferimento ai
più importanti autori delle letterature moderne e alle loro opere.
In realtà occorre sapere che questo termine, a noi molto familiare,
comincia a entrare in uso nel ‘500 con la diffusione delle prime
raccolte di testi “classici”, in quanto antichi, latini e greci.
Da questo momento in poi si parlerà anche di classicismo, per
indicare la tendenza ad assumere i grandi autori antichi come modelli
formali da riprodurre. Esso diventa quindi un punto d’accordo tra
passato e presente, poiché i nuovi artisti imitano e, casomai,
rivisitano, cioè arricchiscono, quanto già prodotto dagli autori
del passato.
Per un breve periodo,
nell’Ottocento precisamente, classici, anche se avrebbero
dovuto chiamarsi classicisti, saranno ritenuti proprio quelli
scrittori fedeli alle regole e ai modelli letterari imposti dalla
tradizione (gli autori che li avevano preceduti), contro gli
innovatori, nel caso specifico, i romantici. Più tardi i
classici saranno associati all’idea di canone, cioè di un
insieme di autori, assunti a modello di un’epoca, individuati per
porre ordine nella memoria, per riconoscere quei valori e quelle
opere determinanti un preciso periodo, recente o meno recente. In
parole più semplici, classici sono quei libri (nel nostro caso) che
si ritiene costituiscano un tassello importante nella ricostruzione
del panorama letterario - siano essi italiani o stranieri - poiché
funzionali a comprenderne le caratteristiche principali. A scuola
riusciamo a riconoscere il canone dei classici negli autori
del passato più “gettonati” dai docenti e che occupano molto
spazio all’interno delle pagine antologiche dei manuali. Anche gli
insegnanti spesso si lasciano influenzare da ciò che il testo
propone, andando puntualmente ad accentare quegli scritti principali,
che hanno fatto, per così dire, “la storia”.
Detto ciò, si potrà
comprendere come il numero di opere da ritenere fondamentali nella
formazione di un individuo sia vasto, perciò impossibile da
perlustrare nella sua interezza. Inoltre, se si guarda ai nostri
attuali ritmi di vita e agli innumerevoli diversivi che riempiono le
nostre giornate, si pone anche un altro problema: come riuscire a
dedicare il proprio tempo a letture che scandiscono ritmi
molto lunghi?
Allora cosa è bene fare?
Selezionare, scegliere quei testi che entreranno a far parte
della nostra collana di classici. In fondo, siamo noi a
decidere quali libri siano più importanti per noi, a seconda di
quello che ci hanno trasmesso, che ci hanno lasciato, quindi al di là
dei confini temporali. Ed è indubbio che la scuola faccia il suo in
questo: è qui che apprendiamo gli strumenti utili per esercitare le
nostre scelte, soprattutto quelle che avvengono al di fuori di essa,
quando nessuno ci dice più cosa e quando leggere.
Sull’affannosa
questione si è interrogato anche Italo Calvino, cimentandosi in una
raccolta di saggi, pubblicata nel 1991, dal titolo Perché leggere
i classici. Nel saggio che conferisce il nome all’opera lo
scrittore chiarisce, attraverso una serie di definizioni, il concetto
di classico e l’importanza che può avere una sua lettura o
“rilettura”.
È proprio su questo
doppio binario interpretativo che Calvino imposta il suo commento a
riguardo, parlando di classici come letture che possono leggersi
nella gioventù e rileggersi in età adulta, con un approccio
diverso e direttamente proporzionale al livello di maturità critica:
una lettura affrontata in gioventù è una scoperta sempre nuova,
mentre una lettura affrontata in età matura è qualcosa di più
profondo, che ci consente di cogliere altre sfumature, molti più
dettagli e significati. È l’esperienza di vita, quindi, a fare la
differenza: nel giovane approccio impariamo a dare una forma alle
esperienze future, individuando magari i modelli ai quali ci
ispireremo; ri - leggere un libro in età matura significa rivedere
in esso comportamenti e atteggiamenti che imputiamo al nostro modo di
essere, cogliendo soltanto in quel preciso momento quanto quella
lettura ci abbia influenzato, se è una rilettura, o quanto
semplicemente ci appartenga, se è una prima lettura. In quel caso
avremo individuato il “nostro” classico. I classici, dunque, sono
quei libri che non ci lasciano indifferenti, perché esercitano
un’influenza particolare su di noi, perché ci comunicano qualcosa.
L’errore che spesso si
commette a scuola, però, è quello di introdurli attraverso la
critica, i commenti e le interpretazioni che altri prima di noi hanno
fornito di essi, impedendoci di venirne a stretto contatto. In realtà
per capire se un libro è per noi un classico, se siamo in
sintonia con esso, verificare se può stupirci, dobbiamo leggerlo in
maniera diretta.
Solo una lettura diretta
può introdurci davvero al suo significato, farci instaurare una
relazione. Ma non è detto che quanto letto ci sorprenda: può
capitare, infatti, che ciò che leggiamo confermi qualcosa che in
realtà già sapevamo. Allora interpreteremo questa scoperta
come ritrovamento di un legame con il passato, di un’origine, di
un’appartenenza.
Resta però doveroso
rispondere a come mettere in relazione i classici con quelle letture
che classiche non sono. Problema che si esplica in una domanda, che
riprendiamo testualmente da Calvino: Perché leggere i classici
anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo
il nostro tempo? ma anche Dove trovare il tempo e l’agio
della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla
valanga di carta stampata dell’attualità?
Anche su queste perplessità lo scrittore viene in
soccorso. Per poter leggere i classici si deve stabilire da quale
punto di vista leggerli, innanzitutto. La lettura di un classico
beneficia principalmente chi è in grado di alternare sapientemente
un classico con una lettura di attualità. E questo senza
necessariamente avere quella calma interiore, quel tempo - lettura
che sfugge alle nostre giornale campali.
“L’ideale sarebbe sentire l’attualità come
il brusio fuori dalla finestra, che ci avverte degli ingorghi del
traffico e degli sbalzi metereologici, mentre seguiamo il discorso
dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza”.
Allora, piuttosto, perché non leggerli?
A voi tutti, buona ricerca!
Leggere un "classico" in maniera diretta, per instaurarvi una relazione ed entrare in sintonia con esso: quanta verità in queste parole e quali preziosi consigli per un insegnante che deve costantemente mediare tale travagliato e meraviglioso rapporto.
RispondiEliminaRicordo ancora il professore universitario di "Storia della critica letteraria"; soleva iniziare ogni sua lezione con la lettura di un brano narrativo o di un testo poetico; il timbro della sua voce risuonava attraverso l'aula gremita di studenti, assorti dalla melodia del ritmo e dalla bellezza delle parole; seguiva una sua breve interpretazione e il commento degli allievi, ben contenti di essere parte attiva della lezione e non mero orecchio passivo volto a soddisfare il narcisismo di un docente; solo infine si poneva attenzione all'analisi di critici e studiosi della materia. Con questo suo metodo provocava non solo aule gremite, ma anche orecchie e cuore attenti;e faceva sgorgare dall'animo una curiosità letteraria latente che veniva soddisfatta al di fuori delle mura accademiche, per trovare posto anche nella quotidianità. Perchè, in fondo, qual è il vero ruolo di un insegnante se non quello di capire e sviluppare attitudini che altrimenti rimarrebbero represse? E, magari, scoprire da questa nuova relazione che tutto ciò di cui abbiamo esperienza altro non è che l'esperienza di un altro; e che esistono valori universali che non hanno spazio nè tempo e rendono gli uomini più simili di quanto si creda, appartengano ad epoche e luoghi più o meno diversi.