martedì 20 gennaio 2015

A B C Di….Classico

Cari lettori,
partiamo dall’A B C e non a caso la terza lettera è l’iniziale di “Classico”. Nel primo post di questa sezione ho introdotto la possibilità di confrontarci, in questo spazio tutto nostro, sui classici, quei libri che ci vengono consigliati ma di cui spesso non riusciamo a cogliere l’importanza.
Quante volte vi sarete chiesti perché debbano leggersi per forza, a cosa servono? Immagino molte e forse è giunto il momento di fare un po’ di chiarezza, ma soprattutto di provare a chiedersi Perché non leggerli?
Nel cominciare non posso trascurare la definizione letterale del termine classico, come qualcosa che si erge a modello di un genere, di un gusto, di una materia artistica, a fondamento di una tradizione, con riferimento ai più importanti autori delle letterature moderne e alle loro opere. In realtà occorre sapere che questo termine, a noi molto familiare, comincia a entrare in uso nel ‘500 con la diffusione delle prime raccolte di testi “classici”, in quanto antichi, latini e greci. Da questo momento in poi si parlerà anche di classicismo, per indicare la tendenza ad assumere i grandi autori antichi come modelli formali da riprodurre. Esso diventa quindi un punto d’accordo tra passato e presente, poiché i nuovi artisti imitano e, casomai, rivisitano, cioè arricchiscono, quanto già prodotto dagli autori del passato.
Per un breve periodo, nell’Ottocento precisamente, classici, anche se avrebbero dovuto chiamarsi classicisti, saranno ritenuti proprio quelli scrittori fedeli alle regole e ai modelli letterari imposti dalla tradizione (gli autori che li avevano preceduti), contro gli innovatori, nel caso specifico, i romantici. Più tardi i classici saranno associati all’idea di canone, cioè di un insieme di autori, assunti a modello di un’epoca, individuati per porre ordine nella memoria, per riconoscere quei valori e quelle opere determinanti un preciso periodo, recente o meno recente. In parole più semplici, classici sono quei libri (nel nostro caso) che si ritiene costituiscano un tassello importante nella ricostruzione del panorama letterario - siano essi italiani o stranieri - poiché funzionali a comprenderne le caratteristiche principali. A scuola riusciamo a riconoscere il canone dei classici negli autori del passato più “gettonati” dai docenti e che occupano molto spazio all’interno delle pagine antologiche dei manuali. Anche gli insegnanti spesso si lasciano influenzare da ciò che il testo propone, andando puntualmente ad accentare quegli scritti principali, che hanno fatto, per così dire, “la storia”.
Detto ciò, si potrà comprendere come il numero di opere da ritenere fondamentali nella formazione di un individuo sia vasto, perciò impossibile da perlustrare nella sua interezza. Inoltre, se si guarda ai nostri attuali ritmi di vita e agli innumerevoli diversivi che riempiono le nostre giornate, si pone anche un altro problema: come riuscire a dedicare il proprio tempo a letture che scandiscono ritmi molto lunghi?
Allora cosa è bene fare? Selezionare, scegliere quei testi che entreranno a far parte della nostra collana di classici. In fondo, siamo noi a decidere quali libri siano più importanti per noi, a seconda di quello che ci hanno trasmesso, che ci hanno lasciato, quindi al di là dei confini temporali. Ed è indubbio che la scuola faccia il suo in questo: è qui che apprendiamo gli strumenti utili per esercitare le nostre scelte, soprattutto quelle che avvengono al di fuori di essa, quando nessuno ci dice più cosa e quando leggere.
Sull’affannosa questione si è interrogato anche Italo Calvino, cimentandosi in una raccolta di saggi, pubblicata nel 1991, dal titolo Perché leggere i classici. Nel saggio che conferisce il nome all’opera lo scrittore chiarisce, attraverso una serie di definizioni, il concetto di classico e l’importanza che può avere una sua lettura o “rilettura”.
È proprio su questo doppio binario interpretativo che Calvino imposta il suo commento a riguardo, parlando di classici come letture che possono leggersi nella gioventù e rileggersi in età adulta, con un approccio diverso e direttamente proporzionale al livello di maturità critica: una lettura affrontata in gioventù è una scoperta sempre nuova, mentre una lettura affrontata in età matura è qualcosa di più profondo, che ci consente di cogliere altre sfumature, molti più dettagli e significati. È l’esperienza di vita, quindi, a fare la differenza: nel giovane approccio impariamo a dare una forma alle esperienze future, individuando magari i modelli ai quali ci ispireremo; ri - leggere un libro in età matura significa rivedere in esso comportamenti e atteggiamenti che imputiamo al nostro modo di essere, cogliendo soltanto in quel preciso momento quanto quella lettura ci abbia influenzato, se è una rilettura, o quanto semplicemente ci appartenga, se è una prima lettura. In quel caso avremo individuato il “nostro” classico. I classici, dunque, sono quei libri che non ci lasciano indifferenti, perché esercitano un’influenza particolare su di noi, perché ci comunicano qualcosa.
L’errore che spesso si commette a scuola, però, è quello di introdurli attraverso la critica, i commenti e le interpretazioni che altri prima di noi hanno fornito di essi, impedendoci di venirne a stretto contatto. In realtà per capire se un libro è per noi un classico, se siamo in sintonia con esso, verificare se può stupirci, dobbiamo leggerlo in maniera diretta.
Solo una lettura diretta può introdurci davvero al suo significato, farci instaurare una relazione. Ma non è detto che quanto letto ci sorprenda: può capitare, infatti, che ciò che leggiamo confermi qualcosa che in realtà già sapevamo. Allora interpreteremo questa scoperta come ritrovamento di un legame con il passato, di un’origine, di un’appartenenza.
Resta però doveroso rispondere a come mettere in relazione i classici con quelle letture che classiche non sono. Problema che si esplica in una domanda, che riprendiamo testualmente da Calvino: Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo? ma anche Dove trovare il tempo e l’agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell’attualità?
Anche su queste perplessità lo scrittore viene in soccorso. Per poter leggere i classici si deve stabilire da quale punto di vista leggerli, innanzitutto. La lettura di un classico beneficia principalmente chi è in grado di alternare sapientemente un classico con una lettura di attualità. E questo senza necessariamente avere quella calma interiore, quel tempo - lettura che sfugge alle nostre giornale campali.
L’ideale sarebbe sentire l’attualità come il brusio fuori dalla finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi metereologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza”.
Allora, piuttosto, perché non leggerli?


A voi tutti, buona ricerca!



The teacher




1 commento:

  1. Leggere un "classico" in maniera diretta, per instaurarvi una relazione ed entrare in sintonia con esso: quanta verità in queste parole e quali preziosi consigli per un insegnante che deve costantemente mediare tale travagliato e meraviglioso rapporto.
    Ricordo ancora il professore universitario di "Storia della critica letteraria"; soleva iniziare ogni sua lezione con la lettura di un brano narrativo o di un testo poetico; il timbro della sua voce risuonava attraverso l'aula gremita di studenti, assorti dalla melodia del ritmo e dalla bellezza delle parole; seguiva una sua breve interpretazione e il commento degli allievi, ben contenti di essere parte attiva della lezione e non mero orecchio passivo volto a soddisfare il narcisismo di un docente; solo infine si poneva attenzione all'analisi di critici e studiosi della materia. Con questo suo metodo provocava non solo aule gremite, ma anche orecchie e cuore attenti;e faceva sgorgare dall'animo una curiosità letteraria latente che veniva soddisfatta al di fuori delle mura accademiche, per trovare posto anche nella quotidianità. Perchè, in fondo, qual è il vero ruolo di un insegnante se non quello di capire e sviluppare attitudini che altrimenti rimarrebbero represse? E, magari, scoprire da questa nuova relazione che tutto ciò di cui abbiamo esperienza altro non è che l'esperienza di un altro; e che esistono valori universali che non hanno spazio nè tempo e rendono gli uomini più simili di quanto si creda, appartengano ad epoche e luoghi più o meno diversi.

    RispondiElimina