giovedì 15 ottobre 2015

Come criticare un libro, meglio se si tratta di un “caso editoriale”


Dear Class,
questo è un giorno speciale. Dopo mesi di silenzio, dovuti ad impegni personali improrogabili (anche noi continuiamo a formarci e ad aggiornarci), torno a scrivervi.
Per questo nuovo debutto, che coincide un po’ anche con l’inizio del nuovo anno scolastico, scelgo di parlarvi di uno dei libri che di recente ha suscitato il mio interesse, sia per la posizione imperante nelle vetrine delle librerie, sia per il sorprendente risultato raggiunto in pochi mesi. Stiamo parlando de “La ragazza del treno”, un romanzo di Paula Hawkins, uscito in Italia a Giugno ma già campione di incassi in Inghilterra dalla data del suo esordio.
Lo scopo, questa volta, è utilizzarlo come esempio per fornire spunti di riflessione adeguati ad accogliere un “caso editoriale”, com’è stato definito, con il giusto metro di valutazione, che è giusto per noi e per nessun altro, ma imparando forse ad esprimere un giudizio in modo critico e ragionato. Criticare, infatti, non vuol dire per forza “parlarne male” ma esaminare accuratamente, valutare. Un buon modo per farlo è partire dall’analisi dal genere letterario che abbiamo di fronte. A volte un titolo può esserne la spia, mandandoci a dire qualcosa di ciò che quel grande contenitore di idee saprà raccontarci.

Frutto dell’inventiva di una giovane scrittrice esordiente, La ragazza del treno narra la storia di una donna comune, nella quale è facile identificarsi, una di quelle costrette a dividersi tra mille impegni e spesso a viaggiare per lavoro. Io per prima, pendolare da alcuni anni, mi ci sono riconosciuta, sebbene nulla di quanto accada nella sua vita si sia mai verificato nella mia realtà.
Rachel viaggia a bordo del treno che la trasporta tutti i giorni da casa al luogo di lavoro, Londra, attraversando case e quartieri residenziali nei quali divertirsi a curiosare sulla vita della gente che osserva. Ma una mattina accade qualcosa: un particolare, apparentemente banale, cattura la sua attenzione, infrangendo l’immagine di un quadretto familiare che è da tempo parte dei suoi viaggi e dei suoi pensieri. Una coppia che Rachel “spia”, mentre svolge parte della sua vita nel terrazzo che dà sulla stazione, all’improvviso racconterà lei qualcosa, trascinandola in un intreccio nel quale farà finalmente i conti con un passato recente scomodo e un passato remoto a dir poco ingombrante. Rachel non potrà più stare soltanto a “guardare”: da questo momento in poi entrerà in contatto con i suoi personaggi, che fino ad ora ha conosciuto solo nella sua immaginazione, all’interno di una storia avvincente, di quelle che mantengono viva l’attenzione.

Siamo di fronte ad un genere che in Letteratura si definisce thriller, un sottogenere di giallo, molto noto anche in ambito cinematografico, che cerca, mediante una tecnica ricca di anticipazioni e colpi di scena, di alimentare la suspense e la tensione necessarie a creare nel lettore forti attese. A un certo punto della storia, infatti, sembrerà di essere rapiti dalla stessa Rachel e catapultati nella sua dimensione, in cui realtà e immaginazione sembrano sovrapporsi e confondersi spesso. Ben scritto quindi, poiché rispondente al risultato finale.
Ma procediamo. Cosa può farne di un libro “un caso”, a parte il numero di copie vendute? L’originalità della sua trama? Le sue doti comunicative? Se siamo dei bravi scriventi (e non per forza scrittori), potremo sicuramente dire se un libro è scritto correttamente da un punto di vista linguistico, anche se è difficile che possa verificarsi il contrario: un libro, prima di essere pubblicato, è sottoposto a varie correzioni, per gli autori esordienti e inesperti spesso con l’aiuto di veri professionisti. Diverso può essere valutarne l’originalità: qui non vengono in sostegno soltanto le nostre conoscenze ma l’esperienza. Se siamo dei veri lettori e ci piace sfogliare un po’ di tutto, sicuramente avremo più elementi, più esempi a nostra disposizione per dire se quanto letto sia qualcosa di “diverso dal solito” oppure no. Un punto di partenza per l’analisi del libro di “quell’autore” potrebbe essere la conoscenza di altri testi dello stesso: si assomigliano tutti?
Però c’è qualcosa che fa la differenza. Quella che abbiamo definito “capacità comunicativa”: quanto il romanzo sia capace di arrivare ai più, per intenderci. Quanto sia in grado di trasmettere. Ci sono storie che ci appassionano perché capaci di trasportarci in un mondo parallelo, storie che ci proiettano nella vita che avremmo sempre desiderato, storie nelle quali ci identifichiamo fortemente e che ci danno qualche consiglio sullo spirito con il quale approcciarci all’esperienza che viviamo nella realtà. È in funzione di questo che esprimiamo il nostro grado di apprezzamento. Ma è chiaro che esso sarà sempre soggettivo.
Preso coscienza di una “buona scrittura”, quindi, occorre dire quanto la stessa abbia risposto a tutti gli altri elementi su citati.
La mia impressione sul libro in questione? Forse limiterei un po’ i giudizi molto positivi che gli gravitano intorno. Non è un capolavoro ma un buon lavoro, ricco di intrecci sicuramente ma, contrariamente a quanto sostenga il The boston Globe, credo che le “acque…della vita di periferia”, che vuole attraversare, a volte siano quasi surreali. Ma questo è un giudizio personale.
Provate ad esprimere il vostro.
Leggete sempre e confrontatevi!


Titolo: La ragazza del treno
Autore: Paula Hawkins
Pagine: 307
Edizione: Piemme
ISBN: 978-88-566-3777-9



The teacher


mercoledì 29 aprile 2015

Non basta un giorno, per diventare lettori!

Pochi giorni fa l'Italia intera festeggiava la giornata mondiale del libro e dei diritti d'autore. Adulti e bambini uniti per un giorno attorno ad un romanzo, un racconto. Il focolare della cultura ha crepitato per un giorno intero, nelle biblioteche, nelle librerie e nelle università che hanno aderito all'iniziativa #ioleggoperché.
A distanza di pochi giorni nasce in noi spontanea la domanda:" e ora, che fine faranno questi focolari?" In molti casi sono stati spenti, prontamente riposti per essere riproposti il prossimo anno, nello stesso giorno. 
Noi il 23 Aprile c'eravamo, abbiamo partecipato attivamente ad #ioleggoperchè e alle iniziative universitarie della nostra città, perchè ci piace incentivare le iniziative culturali. Ma non solo quelle del 23 Aprile. Noi ci lavoriamo tutti i giorni e, probabilmente, per far si che funzioni, tutti i giorni dovrebbe essere il 23 Aprile. 
A noi piacerebbe tenerli accesi sempre quei riflettori, mantenere viva l'attenzione sul mondo dell'editoria italiana.
Ci guardiamo attorno e poche cose, in tal senso, ci confortano. Soprattutto nella nostra terra, quella che amiamo animare con le iniziative culturali, quella bella, dove c'è sempre il sole e il cibo buono. La Puglia, quella che, ci informano, è penultima in una classifica che prende in considerazione le percentuali di lettori.
Abbiamo ricevuto, proprio dalla Regione Puglia, un comunicato stampa che informava sull'altissima percentuale di non lettori del sud Italia. Ne abbiamo tratto un articolo, che riproponiamo nella sezione "Rassegna Stampa" del nostro piccolo mondo letterario. Lo facciamo perchè, pur essendo stato scritto prima della giornata mondiale del libro, questo articolo risulta quanto mai attuale. E' cambiato poco e riteniamo che l'attenzione non debba spostarsi da questo tema, anche durante le "non giornate del libro".

La Puglia è, da sempre, una delle regioni più belle d'Italia. Con un paesaggio ed una storia di certo invidiabili, si classifica tra i luoghi più incantevoli dello stivale. Pare, però, che in alcune classifiche non riesca proprio a conquistare i primi posti.
Da un comunicato, giunto proprio qualche giorno fa dalla Regione Puglia, emerge un dato decisamente preoccupante. La Puglia è una delle regioni in cui si legge meno. Con una percentuale di 70,8% di non lettori nell'ultimo anno (dopo di lei solo la Sicilia, con il 71,8%), la regione meridionale si guadagna un'enorme nota di demerito. Più della metà della sua popolazione non ha letto neanche un libro nel corso del 2014, aggravando ancora di più il tasso di “ignoranza” che oramai contraddistingue l'Italia intera.
Gli ultimi dati ISTAT raccontano, infatti, che oltre 20 milioni di italiani non leggono affatto, né libri né giornali. Anzi, considerano la lettura una vera e propria perdita di tempo. Un dato preoccupante, considerando che, sempre secondo le statistiche, 14 regioni sulle 20 italiane sono popolate da non lettori.
In Italia l'editoria, paradossalmente, produce moltissimo. Molto più di quanto si legga. Tali considerazioni implicano, inevitabilmente, sfilze di domande circa la causa di una tale mancanza di interesse nei confronti dell'informazione e della cultura scritta.
Proprio a seguito della divulgazione degli ultimi dati, il presidente dei Consiglio regionale della Puglia Onofrio Introna ha introdotto il XVII Workshop di Teca del Mediterraneo, la biblioteca multimediale consiliare, in programma a Bari. Il tema, “Il ruolo delle biblioteche in tempi di crisi tra economia e welfare per un nuovo sviluppo del Paese”, ha preso in considerazione proprio il delicato momento storico-culturale che la Regione Puglia vive.
La situazione riguardante i centri di divulgazione culturale, come le biblioteche, è diversa in ogni città. Lo stesso Introna ha presentato due contrastanti notizie di cronaca, che non permettono di delineare una situazione omogenea per l'intera regione.

Da una parte le proteste di associazioni e cittadini per sottrarre alla chiusura i centri bibliotecari - alcuni di rilievo, come la Magna Capitana di Foggia - che fanno capo alle Province, dismesse “da una riforma più annunciata che realizzata, non accompagnata dal Governo nazionale da regole essenziali di funzionamento”.
L’esempio virtuoso arriva invece da Trani, dove a fine mese aprirà la prima biblioteca di quartiere a Pozzopiano, nei locali della libreria per i bambini.
La regione Puglia, alla luce delle altalenanti notizie circa l'attività culturale, si augura che i protagonisti della sfida quotidiana per la lettura e la crescita culturale non smettano di battersi per la politica e la necessità della rete bibliotecaria.
Quella rete bibliotecaria che è fulcro della cultura di ogni città, che permette di non ricercare la causa della “non lettura” nella crisi, perchè con la biblioteche si legge gratis. E chi nelle biblioteche e nella cultura ci crede continua a lottare ma, nella maggior parte dei casi, senza il supporto delle stesse istituzioni. Quelle che incitano a non arrendersi ma che, molte volte, lo fanno.
La Puglia è una regione che non legge, ma è anche una regione che, guardata dall'interno, è piena di menti. Le stesse menti che vorrebbero leggere e che magari lo fanno, senza però poter condividere o sfruttare la loro sensibilità alla cultura. Le iniziative in tal senso, in molte città, sono tante. Ma sono ben poco incentivate.
Quello che probabilmente manca è un'educazione alla lettura. Un'opera di sensibilizzazione costante e continua che permetta di far comprendere a tutti, grandi e piccini, l'importanza di un evento culturale, o anche solo di un momento dedicato alla lettura di un quotidiano, di un libro o di un articolo. Un impegno che possa rendere la biblioteca un luogo di studio e aggregazione fondamentale in una città, il centro divulgatore di un'attività culturale continua.
Più che riflettere sulle percentuali di non lettori, forse si dovrebbe prendere in considerazione il numero dei lettori forti e di coloro che, nonostante il momento, amano coltivare la passione per l'arte e la letteratura. Fare di tutto ciò un patrimonio, sostenerlo e coltivarlo per far si che la bellezza della Puglia diventi anche “intellettuale” oltre che “fisica”.
Dimentichiamo le classifiche, cominciamo (o continuiamo) a leggere, e riscopriamo la bellezza.

Buona (quotidiana) lettura,
The Readers

sabato 28 marzo 2015

SOSTIENE PEREIRA

Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte…”

E’ con queste parole che nel lontano 1994 Antonio Tabucchi, raffinato scrittore da poco scomparso, apriva uno dei capolavori della narrativa contemporanea. Un romanzo storico di altri tempi, che nei nostri tempi giunge quasi come richiamo ad alcune caratteristiche del Neorealismo italiano.
Pereira “sostiene”, l’enunciato più caro allo scrittore, che spesso si ripete ai suoi lettori per focalizzare l’attenzione su di un personaggio assai curioso: il giornalista Pereira.
Lisbona – Portogallo - 1938: periodo di conflitti per l’intera penisola iberica, periodo di pieno regime salazarista. Sullo sfondo la Storia di quelli anni, in superfice il racconto di un uomo, mediocre, privo di idee, tutto ricurvo sulla letteratura e sul ricordo della moglie scomparsa da qualche anno, con la quale si racconta sempre, prima di recarsi al solito Cafè Orquidea per consumare la sua limonata. Tutto sembra scorrere con la stessa lentezza di sempre quando, in un giorno qualunque, Pereira viene attratto da un articolo pubblicato su una rivista e se ne incuriosisce, scegliendo di contattare il suo autore. Il Lisboa, la rivista culturale di un quotidiano locale, che Pereira cura con attenzione maniacale, ha bisogno di un nuovo collaboratore addetto ai necrologi, i “coccodrilli”. Nasce di qui la collaborazione con il giovane apprendista, Monteiro Rossi, la cui personalità contrasta sin da subito con quella dell’anziano personaggio. Monteiro dovrebbe limitarsi a scrivere quanto suggeritogli, ma l’occasione è buona per “fare pubblichi attacchi” alla politica del momento e ai suoi personaggi di punta, spinto da idee socialiste, anarchiche e sovversive. Ma tra i due nasce un’intesa: sebbene Pereira non condivida le idee del giovane rivoluzionario, decide di aiutarlo, arrivando a manifestare quell’istinto paterno mai soddisfatto prima. Monteiro morirà assassinato proprio nell’abitazione di Pereira, divenuta suo rifugio temporaneo. Da questo momento la svolta: Pereira comprende di dover uscir fuori dai suoi rigidi schemi, di doversi divincolare da quel mondo surreale nel quale ha deciso di vivere, sfuggendo alla realtà del regime; complice il dottor Cordoso, colui che cura la sua cardiopatia, figura centrale soprattutto nell’epilogo del racconto, in cui il giovane Monteiro riuscirà ad ottenere giustizia per la sua morte. Pereira è nel finale un uomo nuovo, un oppositore della dittatura, “impegnato”, in prima persona, nella sua lotta contro il regime.
Un richiamo etico, dunque, un invito a non vivere nell’indifferenza, ma anche una sorta di omaggio a un personaggio scelto non proprio per caso. In una nota in fondo al libro, lo scrittore si abbandona, infatti, ad una piccola spiegazione sul significato etimologico del nome “Pereira”: l’origine portoghese si tradurrebbe con “albero del pero”, un cognome d’origine ebraica (come tutti gli alberi da frutto), bandiera di un popolo vittima delle grandi ingiustizie della Storia, che ha sofferto a causa di gente “accanita” e senza scrupoli.
Uno spunto che offre uno scorcio su di una delle tematiche più raccontate nella storia delle civiltà umane conosciute, che anticipa una delle pagine più disastrose del Novecento: il secondo conflitto mondiale.
Vincitore del premio Campiello, Sostiene Pereira vede le scene per volere di Roberto Faenza, appena un anno dopo la pubblicazione del romanzo, con l’eccezionale contributo, l’ultimo di produzione italiana, del grande Marcello Mastroianni, nei panni dell’anziano protagonista.

Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione ne “I Narratori” gennaio 1994
Prima edizione nell’Universale Economica” maggio 1996
216 pagg.
ISBN 88-07-81381-5




The teacher

martedì 24 marzo 2015

Una tesi, un racconto e un messaggio

Per una volta le Readers si sdoppiano. La sparizione dalla scena per qualche giorno ha un suo perchè, e abbiamo ritenuto fosse opportuno immortalarlo sulla piattaforma che oramai è parte della loro vita. E' giusto che Libro Conduttore divenga testimone attivo di una tappa importante: la laurea di una delle Readers. Non tanto per l'entità del traguardo, quanto per una Tesi di Laurea in Lettere che decidiamo di sfruttare, più di quanto faccia la stessa Università (purtroppo).

Curando questo blog analizziamo testi, ne parliamo e discutiamo come più ci piace. La cosa realmente bella di una laurea in lettere è poterlo fare in maniera approfondita, metterlo nero su bianco e poterne (seppur per poco) parlarne a tutti. E oggi io, la neo-dottoressa, decido di condividere con il mio piccolo mondo di lettori il mio lavoro sperando che, come accade con tutti i nostri scritti, trasmetta qualcosa di me e dell'amore che le Readers hanno per la letteratura.
Ho dedicato una tesi (e giusto qualche mese) allo studio della letteratura teatrale. Tutto è cominciato quando, cercando un argomento da proporre per il lavoro , l'ho trovato guardando dentro me stessa. Ho ripreso tra le mani il libro che ho tenuto con me da quando sono nata, l'ho risfogliato e mi è immediatamente venuta voglia di parlarne a tutti. Perchè è un regalo che la vita mi ha fatto, e le cose belle devono essere condivise.
Sono cresciuta leggendo i libri che mio nonno ha scritto prima che io nascessi, senza purtroppo poterlo conoscere. Io li ho letti e riletti tutti e un nonno vicino, pur non vedendolo, l'ho sempre avuto, grazie a quello che aveva voluto lasciarci. Alla fine di un percorso di studi ho quindi deciso di omaggiare lui e ciò che, ne sono certa, ha fatto si che io amassi così tanto la letteratura. Ho ripreso il libro che di lui mi ha sempre emozionato particolarmente e l'ho fatto leggere alla mia professoressa. Abbiamo deciso di parlarne, di farne oggetto di studio, di confrontarlo con un'altra grande opera e raccontare il loro magnifico messaggio.
Tema principale è il teatro di guerra ma anche, e soprattutto, la speranza.
Con l'espressione teatro di guerra ci si riferisce ad un'idea di arte intesa come insegnamento, mettere in scena un'esperienza così drammatica per poter da lì ripartire. Quelle raccontate sono storie che nella guerra trovano la loro corretta interpretazione. Non è la guerra in se che viene raccontata, quanto più il modo in cui la società approccia ad essa.
“Napoli Milionaria” e “Il giorno del Girasole”, le opere di cui ho voluto parlare, sono l'emblema di questo tipo di teatro. Portano in scena l'atmosfera tipicamente meridionale che la seconda guerra mondiale aveva profondamente scalfito, costringendo il Sud Italia ad un profondo cambiamento.
Eduardo De Filippo, con “Napoli Milionaria”, segna il passaggio non solo dalla Cantata dei Giorni Pari alla Cantata dei Giorni Dispari, ma anche quello da un teatro di puro divertimento ad uno di riflessione.
Le vicende della vita, ma soprattutto della guerra, provocano un cambiamento radicale nei singoli personaggi.
L'unico esempio di etica e moralità costante in tutta la commedia è quello di Don Gennaro. Anche quando il contesto storico e lo status della sua famiglia cambiano, egli riesce a non perdere la dignità di uomo carico di quei valori importanti che l'esperienza della guerra, vista da vicino, gli aveva permesso di apprezzare ancora di più.
Se nel primo atto abbiamo di fronte una famiglia umile, povera e schiacciata dalla miseria delle guerra che riesce, però, seppur sempre meno, ad essere ancorata ad alcuni semplici quanto profondi valori; nel secondo atto lo spettatore viene catapultato in una dimensione del tutto diversa. La ricchezza ha cambiato completamente donn'Amalia e il suo cambiamento influisce, inevitabilmente, su tutta la famiglia. Donn'Amalia diventa l'emblema della corruzione morale dell'Italia intera. Non è un caso che anche i figli cambino e che la più piccola, Rita, si ammali. Lei, come spiega poi proprio Don Gennaro, rappresenta il paese a cui la guerra aveva tolto le speranze e a cui la ricchezza, poi, aveva tolto l'etica.
Quella che Eduardo racconta in Napoli Milionaria è una lezione di speranza, impersonificata proprio da Don Gennaro. Anche lui cambia, ma solo in positivo. Ha compreso il significato della sofferenza, dell'importanza di aggrapparsi a ciò che nella vita davvero conta. E intende trasmettere tutto alla sua famiglia, nonostante le difficoltà.
La guerra non è finita come tutti pensano, le conseguenze le si stanno ancora pagando. Ma Don Gennaro è fiducioso, sa che quella nottata passerà, che domani potrà essere un giorno migliore.
E' proprio questo messaggio di speranza che mi ha permesso di collegare Napoli Milionaria con Il Giorno del Girasole di Luca Cicolella.
Sono due opere con storie diverse, ma costituite dalla stessa voglia di portare in scena un'esperienza forte e drammatica come quella della guerra per trasmettere, poi, la forza di ripartire.
Luca Cicolella aveva raccontato l'esperienza della guerra nella sua terra già in altre sue opere ma, con Il giorno del girasole, decide di portare a teatro una storia che arrivi dritta al cuore dei foggiani, raccontando loro il passato e la speranza nel futuro.
Troviamo anche qui un personaggio chiave che riesce, nonostante cambino le cose e passino gli anni, a farsi portavoce di un messaggio ben preciso. Zì Antonio è l'emblema della saggezza popolare, di quell'uomo del sud che non vuole smettere di credere nella forza dell'amore e della speranza.
Anche questa storia, come quella di Eduardo, si svolge tra il 1943 e il 1945. Foggia viene completamente distrutta dai bombardamenti, che schiacciano sogni e speranze dei sopravvissuti.
La guerra, in quest'opera, cambia tutti, li costringe ad affrontare una realtà a cui non erano preparati. Costringe i giovani, come Amelia e Franco, a crescere in fretta, a dover scendere a compromessi per poter sopravvivere. Anche qui lo spettatore si trova, tra il primo e il secondo atto, a compiere un balzo temporale. Finiti i bombardamenti a Foggia arrivano gli americani e tutto cambia. Ma c'è qualcosa che non smette di accompagnare i personaggi di questo testo: è la fede. Zì antonio la rappresenta, con il suo modo di far ragionare tutti, con la sua volontà di non abbandonare Amelia e di far capire a Franco che l'esperienza appena vissuta della guerra non deve abbatterlo, ma solo permettergli di ripartire e ricominciare una nuova vita.
Amelia aveva perso tutto eppure, grazie a Zi Antonio, riesce ad affrontare ogni difficoltà, a crescere e divenire lei stessa fonte di speranza per Franco che, tornato dalla guerra, non crede più a nulla.
Anche il neonato amore tra Zì Antonio e Mariannina, puro e intriso di serenità, è qui chiaro segnale di una voglia di rinascita. L'amore, insegna Zì Antonio, può andare oltre ogni tragedia, essere il motore di un nuovo modo di guardare alla vita.
E anche quando arrivano tempi migliori e la guerra è finita, non la si deve dimenticare. Bisogna permettere che questa insegni alle nuove generazioni che la forza del sacrificio genera speranza. Anche dopo un momento drammatico, in se stessi si può trovare la forza per ripartire.
Lo dice proprio Zì Antonio alla fine del testo: “Ma perchè? Perchè sprechiamo tutta una vita per arrivare alla verità? Basterebbe volerci bene, recitare con onestà la parte che ci assegna la divina provvidenza, ogni giorno...Ogni giorno può essere il giorno del girasole.” Quel giorno in cui, come spiega proprio Luca Cicolella, l'Italia volta pagina e torna a sorridere ad una nuova vita.
Con la speranza che questo messaggio che, loro prima di me, hanno voluto trasmettere arrivi anche ai nostri lettori, non posso che augurarvi, come sempre, buona lettura.
F.R.


martedì 3 marzo 2015

L’OTTOCENTO: IL SECOLO DEL ROMANZO

Breve lezione di storia letteraria...
A circa un mese di distanza dal nostro ultimo appuntamento scegliamo di raccontare qualcosa sul romanzo, uno dei prodotti letterari ad oggi più diffusi, attraverso un quadro della sua evoluzione a cavallo dei secoli Otto e Novecento, quando il genere cominciò a diffondersi in Italia e a raggiungere finalmente il suo successo.
Nonostante la diffusione e il successo del pubblico, il genere del romanzo all’inizio dell’Ottocento non è ancora stato legittimato poiché considerato dagli intellettuali di professione e dai classicisti un prodotto di bassa qualità, destinato a un pubblico scarsamente raffinato. È il Romanticismo che mostra per primo entusiasmo nell’accogliere la varietà e la duttilità del nuovo genere letterario: esso diviene lo strumento principale per realizzare la letteratura “popolare”, che deve cancellare la classica separazione degli stili e superare il ritegno del letterato di fronte alla realtà. L’Ottocento può dunque essere definito il secolo del romanzo, in quanto è il periodo in cui questo genere letterario emerge come forma privilegiata di comunicazione, perché si rivolge a un uditorio più ampio, consente l’approfondita autoanalisi, la trattazione dei caratteri individuali, la descrizione di ambienti e la rappresentazione di un’epoca storica.
Tipico prodotto dell’età romantica è il romanzo storico, genere che unisce la passione per la storia alla predilezione per il genere popolare. Il lettore è attratto dall’aspetto esotico, desueto e pittoresco di usi e costumi antichi, ora attualizzati con una ricostruzione del passato più o meno fedele. Il romanzo storico si presta a rispondere nel modo più completo a queste molteplici esigenze mediante una felice sintesi di storia e immaginazione, una formula di cui lo scozzese Walter Scott è l’inventore.
A partire dagli anni venti dell’Ottocento, sebbene con un forte ritardo rispetto a quanto già avvenuto in Europa, il romanzo ottiene successo e diffusione popolari anche in Italia, divenendo il principale strumento di raccordo con il passato (altri strumenti fondamentali sono il melodramma e la novella in versi), anche se i letterati italiani hanno difficoltà ad accogliere un modello moderno e borghese di narrativa che contrappone alla consueta tradizione poetica una nuova oggettività di espressione. La forma e i contenuti del romanzo vengono ostacolati specialmente dai classicisti, perché caratteristici di quel movimento romantico che aveva generato tante polemiche nella retroguardia tradizionalista. Una volta affermatosi, tuttavia, il romanzo storico italiano si orienta su due modelli di narrazione, quello “pittoresco” di Scott e quello più aderente al “vero” di Manzoni.
Intorno agli anni trenta dell’Ottocento però, mentre la fortuna del romanzo storico cresce, nasce il romanzo realista, che si propone di ritrarre il vero con assoluta fedeltà e in ogni suo aspetto. La nuova realtà storica, che vede lo sviluppo della città, il consolidamento di una borghesia imprenditoriale, l’affermazione industriale e lo sviluppo della classe operaia, trova in questo tipo di romanzo la massima espressione: gli interni domestici della borghesia, i vizi, le aspirazioni e le miserie morali dei singoli, che cercano di salire la scala sociale, costituiscono la materia per la rappresentazione dell’uomo inserito all’interno del contesto politico e sociale di cui fa parte. Così il romanzo realista accoglie le sue più svariate dimensioni. Il motivo del carcere, della reclusione, si presta a suggestive analisi testuali. La prigione da un lato è il luogo dell’oppressione, dove sono rinchiusi i patrioti che partecipano ai moti liberali, dall’altro è il luogo dove l’individuo può isolarsi dalla società e riflettere su se stesso. La prigionia diventa perciò quasi una sorta di esperienza formativa, perché attraverso la solitudine e la sofferenza l’individuo riesce ad attribuire un valore profondo alle cose e a ricercare una più sincera comunicazione con il prossimo. Il carcere non è soltanto concepito come luogo reale ma anche come luogo dell’anima, perché l’individuo è perennemente prigioniero della società, della propria incapacità di comunicare, di se stesso, e questo annulla la differenza tra prigionia fisica e mentale.
Nel romanzo realista, impegnato nella ricostruzione del presente, eroi e personaggi di fantasia si scontrano con avvenimenti e personaggi della storia contemporanea. Il mito di Napoleone costituisce un aspetto particolare di questa tendenza: nel bene o nel male la carismatica figura del personaggio si impone fortemente nell’immaginario ottocentesco e la scena, reale o immaginaria, dell’incontro col personaggio diventa un vero e proprio topos letterario. Con il passare del tempo tale situazione narrativa tende però ad assumere un senso diverso: nelle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo l’interesse tende a spostarsi sul personaggio che incontra Napoleone mentre il grande conquistatore viene sempre più umanizzato e i suoi lati negativi rappresentati come piccole vanità, ipocrisie, meschinità.
Nella seconda metà dell’ottocento il romanzo storico entra decisamente in crisi. La tecnica narrativa alterna la prima e la terza persona, adotta un punto di vista interno, soggettivo, parziale e autoanalitico. Si sviluppa poi il filone umoristico, di ascendenza settecentesca, che sceglie il dialogo con la contemporaneità. L’io – narrante segue un racconto riflessivo e divagante, in cui si fondono serietà, brio, imprevedibilità. Il fervore etico e patriottico, che si era prima applicato alla storia passata comincia a estendersi all’attualità e a investire vicende e figure della vita contemporanea. La prospettiva del narratore onnisciente (il punto di riferimento obbligato è Manzoni) viene sostituita dalla voce dell’io narrante che è, al tempo stesso, attore e regista del racconto.


The teacher


lunedì 9 febbraio 2015

Un the, un giorno di pioggia e...un buon libro!


Quando i libri fanno stare meglio...

Capita a tutti, anche ai lettori più accaniti, di vivere un momento di stress dovuto a studio, lavoro o qualsiasi altra cosa la vita ci ponga di fronte. Capita anche che, proprio in questi momenti, si senta il bisogno di mettere il pigiama, fare un the o una cioccolata calda e di immergersi in un buon libro. Un libro di quelli che facciano sognare, sorridere o semplicemente pensare ad altro. Anche un libro, però, che non richieda particolare attenzione o, per meglio dire, grande impegno intellettivo per la comprensione.
Si parla tanto di lettura, noi siamo le prime a non riuscire a far altro. Ma, per la maggior parte, si parla di lettura che istruisca, che si renda utile nella vita, che amplii i nostri orizzonti culturali. Ed è giusto, la lettura serve a questo. E un lettore che voglia definirsi tale non può esimersi da alcune letture di particolare importanza.
Però questo post, oggi, vogliamo dedicarlo ad altro. Ad un altro tipo di lettura. La così detta lettura di piacere, quella che permette alla mente di viaggiare con mooolta leggerezza, quella di cui sopra, accompagnata da pigiama e cioccolata. Tutta quella serie di libri che difficilmente la critica definirebbe “testi di qualità”, ma che noi abbiamo sul comodino. Quei libri che erano lì, nello scaffale occasioni, con una copertina dai colori vivaci e un titolo simpatico, o quantomeno intrigante.
Questo tipo di letteratura è definito oggi “romanzo di evasione”. In principio fu il fouiletton, o romanzo d'appendice, relegato alle ultime pagine dei quotidiani. Quelle che i mariti “concedevano” cortesemente alle mogli, durante la prima colazione, insieme alle pagine mondane. Oggi, il genere di “evasione” vive una stagione felice, e guadagna i primi posti delle classifiche e posti “al sole” in libreria. 
Fortunatamente oggi il panorama letterario è talmente variegato da poterci permettere, di tanto in tanto, di dedicarci ad un libro più "leggero". Non iniziate a storcere il naso. Non sempre i libri definiti commerciali sono sinonimo di bassa qualità. Anche in questo filone, un tempo definito sottogenere, è possibile trovare "prodotti" di qualità e non bisogna necessariamente risalire alle produzioni di grandi autori del passato. Ci sono tanti, bravi autori contemporanei che, parallelamente alla produzione di opere di spessore, danno vita a storie e personaggi che riescono ad attirare un pubblico più vasto. Pensiamo, ad esempio, a Camilleri che, con il suo Commissario Montalbano si è guadagnato, da diversi anni, una consistente "fetta" di lettori affezionati. Le storie, mai banali, l'ottima penna del "maestro", ci regalano ogni volta un viaggio virtuale nella quotidianità della provincia siciliana. Se invece amate quel tocco di cosmopolita, che non guasta mai, potete appassionarvi alle avventure dell' eroina in "carta ed inchiostro" di Sophie Kinsella, che da più di un decennio catalizza stuoli di fans dello shopping. E si, perché la protagonista dei suoi romanzi è una compratrice compulsiva, Rebecca. Vera shopping girl, "Beky" riesce sempre a trovare il modo di fare acquisti, cacciandosi, spessissimo, in situazioni al limite del verosimile.
E come questi, di testi, ce ne sono veramente tanti. L'importante, bisogna ammetterlo, è saperli scegliere. Spesso trama semplice non è sinonimo di scontata, e linguaggio fruibile non è sinonimo di poco curato.
I veri romanzi di evasione, quelli che vale la pena comprare e “sfruttare” quando fuori piove, sono quelli che sanno conciliare un bel linguaggio con una bella trama, entrambi semplici ma di qualità. Nel marasma letterario che oggi il mercato ci propina purtroppo non è semplice districarsi, ed è semplice cadere nella trappola di quelle letture accattivanti ma, oggettivamente, di bassa lega. Eppure anche i meno esperti possono imparare a leggere, magari partendo dalla bella letteratura d'evasione per finire un giorno, perchè no, a leggere i grandi classici. Una sorta di palestra per la mente, si parte dagli esercizi base e poi si arriva a sollevare il peso....della cultura!
L'importante non è che si legga, ma che si voglia imparare a farlo. E questo mondo, ve l'assicuriamo, ce lo permette!
Buona lettura (d'evasione)

The Readers 

venerdì 6 febbraio 2015

La meccanica dei ruoli

Cari lettori,
oggi voglio presentarvi un nuovo “caso letterario”. Il suo nome è Alice ma nelle librerie potete cercarla col suo nome e cognome: Alice Malerba.
Classe 1982 e un curriculum alle spalle di tutto rispetto. Alice è una giovane torinese che, dopo una laurea in discipline teatrali e una lunga esperienza come attrice e formatrice, scopre la passione per la scrittura.
Ma Alice vive anche la sorte che tocca a molti giovani italiani, figli di una società che non sempre garantisce loro la possibilità di affermarsi nel proprio Paese. Alice, infatti, è ora emigrata in Svizzera, dove insegna Italiano e continua a curare le sue passioni. Quella di cui parliamo qui l’ha portata a elaborare un progetto che ha preso forma con la stesura di un romanzo, il primo: La meccanica dei ruoli. Primo romanzo ma non primo tentativo di scrittura, dal momento che Alice di libri ne ha scritto anche un altro, Mea culpa, edito da CartaCanta nel 2011 e finalista del premio Carver 2013.
Notizie di lei abbiamo modo di scorgerle direttamente dal suo blog (e ve lo diciamo perché non temiamo la concorrenza), la seconda delle sue passioni: il suo nome è LIBRAMOS, “Per restituire il tempo della parola con le parole”.
È qui che mi sono imbattuta nelle prime informazioni sul romanzo in questione, che ho “scovato” davvero per caso.
Ma non voglio riprendere le sue parole per spiegarvelo, bensì provare a farlo, come sempre, attraverso l’interpretazione che ne ho dato personalmente, dopo averlo letto con molta curiosità, oltre che tutto d’un fiato. Non posso celare l’atteggiamento prevenuto che spesso mi condiziona nella scoperta di una nuova penna: il più delle volte non si crede nelle capacità dei giovani, soprattutto quando si è ancorati a modelli che spesso, però, sono tali solo in quanto già affermati. Poi, a poco a poco la diffidenza cede il posto allo stupore: la buona cifra stilistica e la profondità del racconto riescono a rendere onore a un romanzo che non ha proprio nulla da invidiare ad altri, per la sua capacità di scavare nell’interiorità dell’anima e in modo semplice.
Centrali nella storia le dinamiche di una famiglia “comune”, letteralmente sinonimo di una situazione che potrebbe riguardare una qualunque delle persone che ci circondano.
La voce narrante è quella di Ada, così come il flusso di pensieri. Ada, infatti, non si limita a raccontare la sua storia ma a compiere un percorso alla scoperta di se stessa. È una giovane donna, trent’anni appena, sorella e gemella….di Cosmo, suo compagno di viaggio. Si, perché sullo sfondo è il racconto di un viaggio, reale questa volta, che i due fratelli compiono da Torino a Noto, cercando di comprendere le dinamiche del loro rapporto (la meccanica), ma utile anche a ricomporre i pezzi di un puzzle più grande: quello della loro intera esistenza.
Ada e Cosmo sono cresciuti in simbiosi, figli di un mondo che li ha accolti distrattamente sin dalla nascita, affidandoli alle cure di una nonna severa, una mamma putativa impreparata a ricoprire un ruolo così impegnativo, per la seconda volta, dopo aver cresciuto una donna incapace di badare a se stessa. Una madre – matrigna, che ha dato loro la vita ma che poi li ha “gettati” in un mondo in cui è dura sopravvivere.
La loro storia si svolge a Torino, dove la nonna si è stabilita negli anni ’80, emigrando dalla Sicilia e sperando per loro in un futuro migliore del suo. Ma adesso hanno preso strade diverse. È la morte della nonna a riunirli.
Un funerale, un’occasione triste che offre loro l’opportunità di ritrovarsi e di riscoprire un rapporto ed un affetto immutati dal tempo e dagli eventi.
Forse una delle più incondizionate esperienze d’amore quella che lega Ada e Cosmo: da un vissuto profondamente triste si può riemergere con un sorriso. Dal deserto può spuntare una ginestra, profumata, delicata, flessibile.
Ada e Cosmo scoprono che il dolore non li ha “piegati” ma forgiati per la vita che li attende, quella che pone tutti noi in uno stato di sospensione. Non loro, ai quali il destino per troppo tempo forse ha sottratto l’amore di una madre ma non ha mai schiacciato il soffocante desiderio di rinascita. Dopo questo lungo viaggio finalmente questo desiderio potrà essere appagato.
La meccanica dei ruoli di Alice Malerba è edito da CartaCanta Editore
Collana “I Cantastorie”
174 pagg. – 13,00 euro
Isbn 978-88-96629-54-3


The teacher

martedì 27 gennaio 2015

Il colore delle nuvole - Raffaella Sacchitelli

Un segnalibro per la memoria

Togli ad un uomo la dignità, la libertà, la vita stessa. Gli rimangono la speranza e l'amore. Non è affatto una storia comune. Parlare d'amore quando attorno c'è odio, pensare alla speranza su uno sfondo di distruzione.
Accade ne “Il colore delle nuvole” di Raffaella Sacchitelli. A settant'anni dall'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, decidiamo di parlare di una storia che si svolge qualche anno prima. Prima dell'olocausto e durante lo stesso. Una storia d'amore che si colloca in un contesto storico privo di ragioni sentimentali, umanamente indefinibile.
In questa storia Yosseph Poliakoff e Helen Hirsch si incontrano nel 1939, si innamorano perdutamente l'uno dell'altra, ma la loro storia dovrà incrociarsi e fare i conti con un'altra storia: quella del loro tempo e della loro terra, quella della guerra che diventa distruzione. Yosseph è ebreo, Helen è cristiana. A loro non importa, ma agli uomini che nel loro tempo invadono la Polonia si. Loro due non si vedranno più, ma la loro storia d'amore non finirà. Mai.
Yosseph, seppur deportato, scrive continuamente alla sua amata, non si separa mai da un taccuino che riempie di parole d'amore per lei. Solo una persona saprà coglierlo e, da lui e dalla storia di Yosseph e Helen, imparerà a conoscere l'amore, permettendogli di rimanere eterno.
Bianco è il cielo dell' infanzia, rosso quello della “stagione dell'amore”... grigio quello del 
crepuscolo dell'umanità! Il titolo ha uno significato preciso, rappresenta alla perfezione il 
senso dell'intera vicenda narrata. Attraverso il sapiente e, mai pretenzioso, uso delle 
parole, Raffaella Sacchitelli ci conduce lungo una storia d'amore che in qualche modo 
sopravvive ai campi di sterminio.
“Il colore delle nuvole” è un testo che si legge tutto d'un fiato, poco meno di sessanta pagine impregnate di una storia difficile da digerire, anche dopo settant'anni. Eppure, in questa stessa storia, diventano predominanti l'amore, la speranza e la vita. Alla paura della morte si sostituisce la paura di “smettere di vivere” e si lotta per mantenere tutto vivo, nonostante la guerra. L'unica ed invincibile arma è sempre la stessa: credere in qualcosa. Quel qualcosa che va oltre le religioni, oltre le discriminazioni e oltre la storia stessa. Sopravvive il valore più prezioso: la speranza.
Questo libro è bello perchè emoziona, perchè trasmette sentimenti positivi anche quando gli stessi vengono calpestati da ricordi terribili. E' quello che abbiamo sempre sostenuto: il grande potere della letteratura. Un libro può far comprendere cosa non immaginiamo neanche. Una storia, come quella di settant'anni fa, che non dovremmo smettere di conoscere e scoprire. Anche se non ci riguarda, se è lontana e non conosciamo nessuno che l'abbia vissuta. Perchè conoscere vuol dire crescere. Allo stesso tempo un libro può insegnarci l'amore, può trasmetterci la profondità di sentimenti che non credevamo possibili.
Qui una brutta storia e dei sentimenti stupendi si intrecciano, e allora la letteratura si manifesta in tutta la sua grandezza.
Primo Levi ha scritto:<L'Olocausto è una pagina da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria>. “Il colore delle nuvole” è non solo un invito al ricordo, è un'esortazione a soffermarci ed alzare lo sguardo verso il cielo. Quel cielo che, oggi più che mai, vince sul grigio e vive, attraverso i colori, i sogni e le passioni di chi non c'è più.

Titolo: Il colore delle nuvole
Autore: Raffaella Sacchitelli
Pagine: 56
Citazione preferita: "...E poi voltatevi ancora una volta a guardare le nuvole che camminano veloci e libere nel cielo, guardate il loro colore che muta eppure che resta: perchè noi saremo per sempre lì, Helen"

Buona lettura,
The Readers

martedì 20 gennaio 2015

A B C Di….Classico

Cari lettori,
partiamo dall’A B C e non a caso la terza lettera è l’iniziale di “Classico”. Nel primo post di questa sezione ho introdotto la possibilità di confrontarci, in questo spazio tutto nostro, sui classici, quei libri che ci vengono consigliati ma di cui spesso non riusciamo a cogliere l’importanza.
Quante volte vi sarete chiesti perché debbano leggersi per forza, a cosa servono? Immagino molte e forse è giunto il momento di fare un po’ di chiarezza, ma soprattutto di provare a chiedersi Perché non leggerli?
Nel cominciare non posso trascurare la definizione letterale del termine classico, come qualcosa che si erge a modello di un genere, di un gusto, di una materia artistica, a fondamento di una tradizione, con riferimento ai più importanti autori delle letterature moderne e alle loro opere. In realtà occorre sapere che questo termine, a noi molto familiare, comincia a entrare in uso nel ‘500 con la diffusione delle prime raccolte di testi “classici”, in quanto antichi, latini e greci. Da questo momento in poi si parlerà anche di classicismo, per indicare la tendenza ad assumere i grandi autori antichi come modelli formali da riprodurre. Esso diventa quindi un punto d’accordo tra passato e presente, poiché i nuovi artisti imitano e, casomai, rivisitano, cioè arricchiscono, quanto già prodotto dagli autori del passato.
Per un breve periodo, nell’Ottocento precisamente, classici, anche se avrebbero dovuto chiamarsi classicisti, saranno ritenuti proprio quelli scrittori fedeli alle regole e ai modelli letterari imposti dalla tradizione (gli autori che li avevano preceduti), contro gli innovatori, nel caso specifico, i romantici. Più tardi i classici saranno associati all’idea di canone, cioè di un insieme di autori, assunti a modello di un’epoca, individuati per porre ordine nella memoria, per riconoscere quei valori e quelle opere determinanti un preciso periodo, recente o meno recente. In parole più semplici, classici sono quei libri (nel nostro caso) che si ritiene costituiscano un tassello importante nella ricostruzione del panorama letterario - siano essi italiani o stranieri - poiché funzionali a comprenderne le caratteristiche principali. A scuola riusciamo a riconoscere il canone dei classici negli autori del passato più “gettonati” dai docenti e che occupano molto spazio all’interno delle pagine antologiche dei manuali. Anche gli insegnanti spesso si lasciano influenzare da ciò che il testo propone, andando puntualmente ad accentare quegli scritti principali, che hanno fatto, per così dire, “la storia”.
Detto ciò, si potrà comprendere come il numero di opere da ritenere fondamentali nella formazione di un individuo sia vasto, perciò impossibile da perlustrare nella sua interezza. Inoltre, se si guarda ai nostri attuali ritmi di vita e agli innumerevoli diversivi che riempiono le nostre giornate, si pone anche un altro problema: come riuscire a dedicare il proprio tempo a letture che scandiscono ritmi molto lunghi?
Allora cosa è bene fare? Selezionare, scegliere quei testi che entreranno a far parte della nostra collana di classici. In fondo, siamo noi a decidere quali libri siano più importanti per noi, a seconda di quello che ci hanno trasmesso, che ci hanno lasciato, quindi al di là dei confini temporali. Ed è indubbio che la scuola faccia il suo in questo: è qui che apprendiamo gli strumenti utili per esercitare le nostre scelte, soprattutto quelle che avvengono al di fuori di essa, quando nessuno ci dice più cosa e quando leggere.
Sull’affannosa questione si è interrogato anche Italo Calvino, cimentandosi in una raccolta di saggi, pubblicata nel 1991, dal titolo Perché leggere i classici. Nel saggio che conferisce il nome all’opera lo scrittore chiarisce, attraverso una serie di definizioni, il concetto di classico e l’importanza che può avere una sua lettura o “rilettura”.
È proprio su questo doppio binario interpretativo che Calvino imposta il suo commento a riguardo, parlando di classici come letture che possono leggersi nella gioventù e rileggersi in età adulta, con un approccio diverso e direttamente proporzionale al livello di maturità critica: una lettura affrontata in gioventù è una scoperta sempre nuova, mentre una lettura affrontata in età matura è qualcosa di più profondo, che ci consente di cogliere altre sfumature, molti più dettagli e significati. È l’esperienza di vita, quindi, a fare la differenza: nel giovane approccio impariamo a dare una forma alle esperienze future, individuando magari i modelli ai quali ci ispireremo; ri - leggere un libro in età matura significa rivedere in esso comportamenti e atteggiamenti che imputiamo al nostro modo di essere, cogliendo soltanto in quel preciso momento quanto quella lettura ci abbia influenzato, se è una rilettura, o quanto semplicemente ci appartenga, se è una prima lettura. In quel caso avremo individuato il “nostro” classico. I classici, dunque, sono quei libri che non ci lasciano indifferenti, perché esercitano un’influenza particolare su di noi, perché ci comunicano qualcosa.
L’errore che spesso si commette a scuola, però, è quello di introdurli attraverso la critica, i commenti e le interpretazioni che altri prima di noi hanno fornito di essi, impedendoci di venirne a stretto contatto. In realtà per capire se un libro è per noi un classico, se siamo in sintonia con esso, verificare se può stupirci, dobbiamo leggerlo in maniera diretta.
Solo una lettura diretta può introdurci davvero al suo significato, farci instaurare una relazione. Ma non è detto che quanto letto ci sorprenda: può capitare, infatti, che ciò che leggiamo confermi qualcosa che in realtà già sapevamo. Allora interpreteremo questa scoperta come ritrovamento di un legame con il passato, di un’origine, di un’appartenenza.
Resta però doveroso rispondere a come mettere in relazione i classici con quelle letture che classiche non sono. Problema che si esplica in una domanda, che riprendiamo testualmente da Calvino: Perché leggere i classici anziché concentrarci su letture che ci facciano capire più a fondo il nostro tempo? ma anche Dove trovare il tempo e l’agio della mente per leggere dei classici, soverchiati come siamo dalla valanga di carta stampata dell’attualità?
Anche su queste perplessità lo scrittore viene in soccorso. Per poter leggere i classici si deve stabilire da quale punto di vista leggerli, innanzitutto. La lettura di un classico beneficia principalmente chi è in grado di alternare sapientemente un classico con una lettura di attualità. E questo senza necessariamente avere quella calma interiore, quel tempo - lettura che sfugge alle nostre giornale campali.
L’ideale sarebbe sentire l’attualità come il brusio fuori dalla finestra, che ci avverte degli ingorghi del traffico e degli sbalzi metereologici, mentre seguiamo il discorso dei classici che suona chiaro e articolato nella stanza”.
Allora, piuttosto, perché non leggerli?


A voi tutti, buona ricerca!



The teacher




martedì 6 gennaio 2015

CLASSics


The Readers hanno deciso di "allargare" la famiglia...Nasce una nuova rubrica, curata da un'amica, una compagna di avventura, che da sempre condivide con noi l'enorme passione che ci contraddistngue e che, per questo, non abbiamo potuto fare a meno di coinvolgere.
The Teacher curerà con noi una sessione dedicata ai classici e alla letteratura per studenti in genere. Partendo dalla voglia di ravvivare lo spirito critico trai banchi di scuola e, perchè no, tra le mura accademiche, abbiamo pensato di provare a riproporre quella letteratura per i più retrodatata. Rendere i classici più fruibili, darne chiavi di lettura e infine proporre anche testi nuovi, che possano permettere agli studenti (e non) di conoscere, leggere e riflettere sempre più. Diamo quindi il via ad una nuova avventura, dando direttamente spazio a The Teacher che si e ci presenta con un post tutto da gustare!
Buona lettura,

The Readers


UN NUOVO INIZIO
Anche in una tranquilla e apparentemente comune mattina d’inverno può accadere qualcosa di straordinario o, sarebbe meglio dire, che rompe l’ordinarietà delle cose. Complici una calda tazza di thè verde da sorseggiare, che fa molto english, e una carica di entusiasmo fuori dal normale nel raccogliere una richiesta molto gradita.
Scrivere un post che inauguri una nuova sezione del blog.
Del resto, come dire di no alle Readers! Si, perché proprio loro, le cui idee talvolta hanno qualcosa di davvero geniale, hanno pensato di indossare nuovi panni e capire come si sentano i ragazzi che si cimentano nelle prime letture “scelte” e non “imposte”, magari dalla prof. di Italiano che rimanda alla centralità di un “classico della Letteratura”, che poi però, ahimè, per loro di classico spesso porta soltanto i segni di un’epoca passata.
Cercherò di spiegarvi un po’ il nostro programma, traendo ispirazione da un’intervista che nel lontano ‘700 coinvolgeva lo scrittore Pietro Verri come fondatore del famoso, e allora utilissimo, periodico milanese Il Caffè.
Cos’è questa sezione? È una sezione dedicata ai consigli per i più giovani, ma anche per chi vuole semplicemente lasciarsi guidare nella scelta di un buon libro, da un classico (nell’accezione di intramontabilità) a un attuale di tendenza.
Cosa conterrà? Libri vari, per far scoprire talenti vecchi e nuovi, accuratamente scelti per chiunque gradisca.
Come sarà scritta? Con uno stile che non annoi.
E fino a quando continuerete a curarla? Fino a quando avrà spaccio. Se il pubblico ne farà tesoro noi continueremo a scrivere.
Quale fine ha fatto nascere questo progetto? Il fine di una gradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene che possiamo.
L’intento è fare di Libroconduttore anche una vetrina, magari per giovani scoperte che, possibilmente, altri blog o riviste non hanno già recensito. Una nuova mission in cui sarò lieta di dare il mio contributo come teacher giovane e entusiasta del suo lavoro.
Per rompere il ghiaccio, però, ho scelto un libro che di nuovo ha ben poco, in quanto frutto della penna di un talento già noto. L’ho scelto perché solo da qualche giorno l’ho riposto sugli scaffali della mia piccola libreria personale e perché rientra tra quei romanzi che consiglierei di leggere, anche se non verrebbe mai definito “un classico” (e questa è già una novità).
Il romanzo in questione è Léonie e il suo autore è una donna già affermata nel panorama letterario contemporaneo. Stiamo parlando di Sveva Casati Modignani e di un racconto edito da Sperling e Kupfer nel 2012 per la collana Pandora. Ciò che superficialmente può definirsi “romanzo sentimentale” ma che è in realtà qualcosa che scruta nella parte più profonda dei sentimenti, di una donna (la giovane protagonista da cui l’autrice prende il nome), di un uomo (suo marito) e dei suoi cari, la nuova famiglia che l’ha accolta come una figlia, ospitandola nella cornice di una grande casa le cui pareti hanno visto l’avvicendarsi di tre diverse generazioni, tacendo segreti che sarebbe bene non svelare mai. Ma Léonie, ben lontana dalla tormentata Emma Bovary di altri tempi, è una donna che non ama i segreti, per cui scava nel passato in cerca di risposte che possano aiutarla a comprendere le dinamiche di una buona famiglia che si rispetti, quella che lei non ha mai avuto da bambina ma che adesso accudisce giorno dopo giorno. Eccetto uno, il 22 di Dicembre, in cui sceglie di ritagliarsi uno spazio suo e di nessun altro, a meno che questi non sia una persona davvero speciale.
Con il suo stile inconfondibilmente accessibile ai più, Léonie arriva dritto al cuore, ravvivando i sogni di giovani fanciulle, ma anche donne e inguaribili romantiche, che hanno il desiderio di lasciarsi cullare da un sentimento che non trascende mai nel melenso, aprendo l’anima e la mente di chi ama, o anche solo di chi attende che il suo sogno d’amore si avveri.
Non un’eroina ma una donna comune, che ama, soffre e si affanna per conquistare la felicità che tutti desideriamo nella vita.
Perché l’ho scelto? Perché ci fa riflettere sulle dinamiche che spesso si dispiegano all’interno delle mura domestiche e che risaltano le debolezze dell’uomo. Uno spaccato “in piccolo” sulla società odierna, popolata da personaggi divisi tra affetti personali e interessi lavorativi, proprio come accade per la nuova famiglia di Lèonie.
Perché leggerlo? Perché trasuda sincerità, ma anche perché dona speranza. La speranza che anche nei drammi familiari, che spesso la cronaca ci racconta finiti in tragedia, possa esserci una conclusione felice. Le storie d’amore, attraverso i tradimenti, ci fanno approdare ad una sola verità: l’amore è imperfetto.
Per le persone comuni, perché comprendano che un “lieto fine” è possibile, se lo si vuole.
The teacher