sabato 28 marzo 2015

SOSTIENE PEREIRA

Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell'imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il "Lisboa" aveva ormai una pagina culturale, e l'avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte…”

E’ con queste parole che nel lontano 1994 Antonio Tabucchi, raffinato scrittore da poco scomparso, apriva uno dei capolavori della narrativa contemporanea. Un romanzo storico di altri tempi, che nei nostri tempi giunge quasi come richiamo ad alcune caratteristiche del Neorealismo italiano.
Pereira “sostiene”, l’enunciato più caro allo scrittore, che spesso si ripete ai suoi lettori per focalizzare l’attenzione su di un personaggio assai curioso: il giornalista Pereira.
Lisbona – Portogallo - 1938: periodo di conflitti per l’intera penisola iberica, periodo di pieno regime salazarista. Sullo sfondo la Storia di quelli anni, in superfice il racconto di un uomo, mediocre, privo di idee, tutto ricurvo sulla letteratura e sul ricordo della moglie scomparsa da qualche anno, con la quale si racconta sempre, prima di recarsi al solito Cafè Orquidea per consumare la sua limonata. Tutto sembra scorrere con la stessa lentezza di sempre quando, in un giorno qualunque, Pereira viene attratto da un articolo pubblicato su una rivista e se ne incuriosisce, scegliendo di contattare il suo autore. Il Lisboa, la rivista culturale di un quotidiano locale, che Pereira cura con attenzione maniacale, ha bisogno di un nuovo collaboratore addetto ai necrologi, i “coccodrilli”. Nasce di qui la collaborazione con il giovane apprendista, Monteiro Rossi, la cui personalità contrasta sin da subito con quella dell’anziano personaggio. Monteiro dovrebbe limitarsi a scrivere quanto suggeritogli, ma l’occasione è buona per “fare pubblichi attacchi” alla politica del momento e ai suoi personaggi di punta, spinto da idee socialiste, anarchiche e sovversive. Ma tra i due nasce un’intesa: sebbene Pereira non condivida le idee del giovane rivoluzionario, decide di aiutarlo, arrivando a manifestare quell’istinto paterno mai soddisfatto prima. Monteiro morirà assassinato proprio nell’abitazione di Pereira, divenuta suo rifugio temporaneo. Da questo momento la svolta: Pereira comprende di dover uscir fuori dai suoi rigidi schemi, di doversi divincolare da quel mondo surreale nel quale ha deciso di vivere, sfuggendo alla realtà del regime; complice il dottor Cordoso, colui che cura la sua cardiopatia, figura centrale soprattutto nell’epilogo del racconto, in cui il giovane Monteiro riuscirà ad ottenere giustizia per la sua morte. Pereira è nel finale un uomo nuovo, un oppositore della dittatura, “impegnato”, in prima persona, nella sua lotta contro il regime.
Un richiamo etico, dunque, un invito a non vivere nell’indifferenza, ma anche una sorta di omaggio a un personaggio scelto non proprio per caso. In una nota in fondo al libro, lo scrittore si abbandona, infatti, ad una piccola spiegazione sul significato etimologico del nome “Pereira”: l’origine portoghese si tradurrebbe con “albero del pero”, un cognome d’origine ebraica (come tutti gli alberi da frutto), bandiera di un popolo vittima delle grandi ingiustizie della Storia, che ha sofferto a causa di gente “accanita” e senza scrupoli.
Uno spunto che offre uno scorcio su di una delle tematiche più raccontate nella storia delle civiltà umane conosciute, che anticipa una delle pagine più disastrose del Novecento: il secondo conflitto mondiale.
Vincitore del premio Campiello, Sostiene Pereira vede le scene per volere di Roberto Faenza, appena un anno dopo la pubblicazione del romanzo, con l’eccezionale contributo, l’ultimo di produzione italiana, del grande Marcello Mastroianni, nei panni dell’anziano protagonista.

Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
Prima edizione ne “I Narratori” gennaio 1994
Prima edizione nell’Universale Economica” maggio 1996
216 pagg.
ISBN 88-07-81381-5




The teacher

martedì 24 marzo 2015

Una tesi, un racconto e un messaggio

Per una volta le Readers si sdoppiano. La sparizione dalla scena per qualche giorno ha un suo perchè, e abbiamo ritenuto fosse opportuno immortalarlo sulla piattaforma che oramai è parte della loro vita. E' giusto che Libro Conduttore divenga testimone attivo di una tappa importante: la laurea di una delle Readers. Non tanto per l'entità del traguardo, quanto per una Tesi di Laurea in Lettere che decidiamo di sfruttare, più di quanto faccia la stessa Università (purtroppo).

Curando questo blog analizziamo testi, ne parliamo e discutiamo come più ci piace. La cosa realmente bella di una laurea in lettere è poterlo fare in maniera approfondita, metterlo nero su bianco e poterne (seppur per poco) parlarne a tutti. E oggi io, la neo-dottoressa, decido di condividere con il mio piccolo mondo di lettori il mio lavoro sperando che, come accade con tutti i nostri scritti, trasmetta qualcosa di me e dell'amore che le Readers hanno per la letteratura.
Ho dedicato una tesi (e giusto qualche mese) allo studio della letteratura teatrale. Tutto è cominciato quando, cercando un argomento da proporre per il lavoro , l'ho trovato guardando dentro me stessa. Ho ripreso tra le mani il libro che ho tenuto con me da quando sono nata, l'ho risfogliato e mi è immediatamente venuta voglia di parlarne a tutti. Perchè è un regalo che la vita mi ha fatto, e le cose belle devono essere condivise.
Sono cresciuta leggendo i libri che mio nonno ha scritto prima che io nascessi, senza purtroppo poterlo conoscere. Io li ho letti e riletti tutti e un nonno vicino, pur non vedendolo, l'ho sempre avuto, grazie a quello che aveva voluto lasciarci. Alla fine di un percorso di studi ho quindi deciso di omaggiare lui e ciò che, ne sono certa, ha fatto si che io amassi così tanto la letteratura. Ho ripreso il libro che di lui mi ha sempre emozionato particolarmente e l'ho fatto leggere alla mia professoressa. Abbiamo deciso di parlarne, di farne oggetto di studio, di confrontarlo con un'altra grande opera e raccontare il loro magnifico messaggio.
Tema principale è il teatro di guerra ma anche, e soprattutto, la speranza.
Con l'espressione teatro di guerra ci si riferisce ad un'idea di arte intesa come insegnamento, mettere in scena un'esperienza così drammatica per poter da lì ripartire. Quelle raccontate sono storie che nella guerra trovano la loro corretta interpretazione. Non è la guerra in se che viene raccontata, quanto più il modo in cui la società approccia ad essa.
“Napoli Milionaria” e “Il giorno del Girasole”, le opere di cui ho voluto parlare, sono l'emblema di questo tipo di teatro. Portano in scena l'atmosfera tipicamente meridionale che la seconda guerra mondiale aveva profondamente scalfito, costringendo il Sud Italia ad un profondo cambiamento.
Eduardo De Filippo, con “Napoli Milionaria”, segna il passaggio non solo dalla Cantata dei Giorni Pari alla Cantata dei Giorni Dispari, ma anche quello da un teatro di puro divertimento ad uno di riflessione.
Le vicende della vita, ma soprattutto della guerra, provocano un cambiamento radicale nei singoli personaggi.
L'unico esempio di etica e moralità costante in tutta la commedia è quello di Don Gennaro. Anche quando il contesto storico e lo status della sua famiglia cambiano, egli riesce a non perdere la dignità di uomo carico di quei valori importanti che l'esperienza della guerra, vista da vicino, gli aveva permesso di apprezzare ancora di più.
Se nel primo atto abbiamo di fronte una famiglia umile, povera e schiacciata dalla miseria delle guerra che riesce, però, seppur sempre meno, ad essere ancorata ad alcuni semplici quanto profondi valori; nel secondo atto lo spettatore viene catapultato in una dimensione del tutto diversa. La ricchezza ha cambiato completamente donn'Amalia e il suo cambiamento influisce, inevitabilmente, su tutta la famiglia. Donn'Amalia diventa l'emblema della corruzione morale dell'Italia intera. Non è un caso che anche i figli cambino e che la più piccola, Rita, si ammali. Lei, come spiega poi proprio Don Gennaro, rappresenta il paese a cui la guerra aveva tolto le speranze e a cui la ricchezza, poi, aveva tolto l'etica.
Quella che Eduardo racconta in Napoli Milionaria è una lezione di speranza, impersonificata proprio da Don Gennaro. Anche lui cambia, ma solo in positivo. Ha compreso il significato della sofferenza, dell'importanza di aggrapparsi a ciò che nella vita davvero conta. E intende trasmettere tutto alla sua famiglia, nonostante le difficoltà.
La guerra non è finita come tutti pensano, le conseguenze le si stanno ancora pagando. Ma Don Gennaro è fiducioso, sa che quella nottata passerà, che domani potrà essere un giorno migliore.
E' proprio questo messaggio di speranza che mi ha permesso di collegare Napoli Milionaria con Il Giorno del Girasole di Luca Cicolella.
Sono due opere con storie diverse, ma costituite dalla stessa voglia di portare in scena un'esperienza forte e drammatica come quella della guerra per trasmettere, poi, la forza di ripartire.
Luca Cicolella aveva raccontato l'esperienza della guerra nella sua terra già in altre sue opere ma, con Il giorno del girasole, decide di portare a teatro una storia che arrivi dritta al cuore dei foggiani, raccontando loro il passato e la speranza nel futuro.
Troviamo anche qui un personaggio chiave che riesce, nonostante cambino le cose e passino gli anni, a farsi portavoce di un messaggio ben preciso. Zì Antonio è l'emblema della saggezza popolare, di quell'uomo del sud che non vuole smettere di credere nella forza dell'amore e della speranza.
Anche questa storia, come quella di Eduardo, si svolge tra il 1943 e il 1945. Foggia viene completamente distrutta dai bombardamenti, che schiacciano sogni e speranze dei sopravvissuti.
La guerra, in quest'opera, cambia tutti, li costringe ad affrontare una realtà a cui non erano preparati. Costringe i giovani, come Amelia e Franco, a crescere in fretta, a dover scendere a compromessi per poter sopravvivere. Anche qui lo spettatore si trova, tra il primo e il secondo atto, a compiere un balzo temporale. Finiti i bombardamenti a Foggia arrivano gli americani e tutto cambia. Ma c'è qualcosa che non smette di accompagnare i personaggi di questo testo: è la fede. Zì antonio la rappresenta, con il suo modo di far ragionare tutti, con la sua volontà di non abbandonare Amelia e di far capire a Franco che l'esperienza appena vissuta della guerra non deve abbatterlo, ma solo permettergli di ripartire e ricominciare una nuova vita.
Amelia aveva perso tutto eppure, grazie a Zi Antonio, riesce ad affrontare ogni difficoltà, a crescere e divenire lei stessa fonte di speranza per Franco che, tornato dalla guerra, non crede più a nulla.
Anche il neonato amore tra Zì Antonio e Mariannina, puro e intriso di serenità, è qui chiaro segnale di una voglia di rinascita. L'amore, insegna Zì Antonio, può andare oltre ogni tragedia, essere il motore di un nuovo modo di guardare alla vita.
E anche quando arrivano tempi migliori e la guerra è finita, non la si deve dimenticare. Bisogna permettere che questa insegni alle nuove generazioni che la forza del sacrificio genera speranza. Anche dopo un momento drammatico, in se stessi si può trovare la forza per ripartire.
Lo dice proprio Zì Antonio alla fine del testo: “Ma perchè? Perchè sprechiamo tutta una vita per arrivare alla verità? Basterebbe volerci bene, recitare con onestà la parte che ci assegna la divina provvidenza, ogni giorno...Ogni giorno può essere il giorno del girasole.” Quel giorno in cui, come spiega proprio Luca Cicolella, l'Italia volta pagina e torna a sorridere ad una nuova vita.
Con la speranza che questo messaggio che, loro prima di me, hanno voluto trasmettere arrivi anche ai nostri lettori, non posso che augurarvi, come sempre, buona lettura.
F.R.


martedì 3 marzo 2015

L’OTTOCENTO: IL SECOLO DEL ROMANZO

Breve lezione di storia letteraria...
A circa un mese di distanza dal nostro ultimo appuntamento scegliamo di raccontare qualcosa sul romanzo, uno dei prodotti letterari ad oggi più diffusi, attraverso un quadro della sua evoluzione a cavallo dei secoli Otto e Novecento, quando il genere cominciò a diffondersi in Italia e a raggiungere finalmente il suo successo.
Nonostante la diffusione e il successo del pubblico, il genere del romanzo all’inizio dell’Ottocento non è ancora stato legittimato poiché considerato dagli intellettuali di professione e dai classicisti un prodotto di bassa qualità, destinato a un pubblico scarsamente raffinato. È il Romanticismo che mostra per primo entusiasmo nell’accogliere la varietà e la duttilità del nuovo genere letterario: esso diviene lo strumento principale per realizzare la letteratura “popolare”, che deve cancellare la classica separazione degli stili e superare il ritegno del letterato di fronte alla realtà. L’Ottocento può dunque essere definito il secolo del romanzo, in quanto è il periodo in cui questo genere letterario emerge come forma privilegiata di comunicazione, perché si rivolge a un uditorio più ampio, consente l’approfondita autoanalisi, la trattazione dei caratteri individuali, la descrizione di ambienti e la rappresentazione di un’epoca storica.
Tipico prodotto dell’età romantica è il romanzo storico, genere che unisce la passione per la storia alla predilezione per il genere popolare. Il lettore è attratto dall’aspetto esotico, desueto e pittoresco di usi e costumi antichi, ora attualizzati con una ricostruzione del passato più o meno fedele. Il romanzo storico si presta a rispondere nel modo più completo a queste molteplici esigenze mediante una felice sintesi di storia e immaginazione, una formula di cui lo scozzese Walter Scott è l’inventore.
A partire dagli anni venti dell’Ottocento, sebbene con un forte ritardo rispetto a quanto già avvenuto in Europa, il romanzo ottiene successo e diffusione popolari anche in Italia, divenendo il principale strumento di raccordo con il passato (altri strumenti fondamentali sono il melodramma e la novella in versi), anche se i letterati italiani hanno difficoltà ad accogliere un modello moderno e borghese di narrativa che contrappone alla consueta tradizione poetica una nuova oggettività di espressione. La forma e i contenuti del romanzo vengono ostacolati specialmente dai classicisti, perché caratteristici di quel movimento romantico che aveva generato tante polemiche nella retroguardia tradizionalista. Una volta affermatosi, tuttavia, il romanzo storico italiano si orienta su due modelli di narrazione, quello “pittoresco” di Scott e quello più aderente al “vero” di Manzoni.
Intorno agli anni trenta dell’Ottocento però, mentre la fortuna del romanzo storico cresce, nasce il romanzo realista, che si propone di ritrarre il vero con assoluta fedeltà e in ogni suo aspetto. La nuova realtà storica, che vede lo sviluppo della città, il consolidamento di una borghesia imprenditoriale, l’affermazione industriale e lo sviluppo della classe operaia, trova in questo tipo di romanzo la massima espressione: gli interni domestici della borghesia, i vizi, le aspirazioni e le miserie morali dei singoli, che cercano di salire la scala sociale, costituiscono la materia per la rappresentazione dell’uomo inserito all’interno del contesto politico e sociale di cui fa parte. Così il romanzo realista accoglie le sue più svariate dimensioni. Il motivo del carcere, della reclusione, si presta a suggestive analisi testuali. La prigione da un lato è il luogo dell’oppressione, dove sono rinchiusi i patrioti che partecipano ai moti liberali, dall’altro è il luogo dove l’individuo può isolarsi dalla società e riflettere su se stesso. La prigionia diventa perciò quasi una sorta di esperienza formativa, perché attraverso la solitudine e la sofferenza l’individuo riesce ad attribuire un valore profondo alle cose e a ricercare una più sincera comunicazione con il prossimo. Il carcere non è soltanto concepito come luogo reale ma anche come luogo dell’anima, perché l’individuo è perennemente prigioniero della società, della propria incapacità di comunicare, di se stesso, e questo annulla la differenza tra prigionia fisica e mentale.
Nel romanzo realista, impegnato nella ricostruzione del presente, eroi e personaggi di fantasia si scontrano con avvenimenti e personaggi della storia contemporanea. Il mito di Napoleone costituisce un aspetto particolare di questa tendenza: nel bene o nel male la carismatica figura del personaggio si impone fortemente nell’immaginario ottocentesco e la scena, reale o immaginaria, dell’incontro col personaggio diventa un vero e proprio topos letterario. Con il passare del tempo tale situazione narrativa tende però ad assumere un senso diverso: nelle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo l’interesse tende a spostarsi sul personaggio che incontra Napoleone mentre il grande conquistatore viene sempre più umanizzato e i suoi lati negativi rappresentati come piccole vanità, ipocrisie, meschinità.
Nella seconda metà dell’ottocento il romanzo storico entra decisamente in crisi. La tecnica narrativa alterna la prima e la terza persona, adotta un punto di vista interno, soggettivo, parziale e autoanalitico. Si sviluppa poi il filone umoristico, di ascendenza settecentesca, che sceglie il dialogo con la contemporaneità. L’io – narrante segue un racconto riflessivo e divagante, in cui si fondono serietà, brio, imprevedibilità. Il fervore etico e patriottico, che si era prima applicato alla storia passata comincia a estendersi all’attualità e a investire vicende e figure della vita contemporanea. La prospettiva del narratore onnisciente (il punto di riferimento obbligato è Manzoni) viene sostituita dalla voce dell’io narrante che è, al tempo stesso, attore e regista del racconto.


The teacher