martedì 3 marzo 2015

L’OTTOCENTO: IL SECOLO DEL ROMANZO

Breve lezione di storia letteraria...
A circa un mese di distanza dal nostro ultimo appuntamento scegliamo di raccontare qualcosa sul romanzo, uno dei prodotti letterari ad oggi più diffusi, attraverso un quadro della sua evoluzione a cavallo dei secoli Otto e Novecento, quando il genere cominciò a diffondersi in Italia e a raggiungere finalmente il suo successo.
Nonostante la diffusione e il successo del pubblico, il genere del romanzo all’inizio dell’Ottocento non è ancora stato legittimato poiché considerato dagli intellettuali di professione e dai classicisti un prodotto di bassa qualità, destinato a un pubblico scarsamente raffinato. È il Romanticismo che mostra per primo entusiasmo nell’accogliere la varietà e la duttilità del nuovo genere letterario: esso diviene lo strumento principale per realizzare la letteratura “popolare”, che deve cancellare la classica separazione degli stili e superare il ritegno del letterato di fronte alla realtà. L’Ottocento può dunque essere definito il secolo del romanzo, in quanto è il periodo in cui questo genere letterario emerge come forma privilegiata di comunicazione, perché si rivolge a un uditorio più ampio, consente l’approfondita autoanalisi, la trattazione dei caratteri individuali, la descrizione di ambienti e la rappresentazione di un’epoca storica.
Tipico prodotto dell’età romantica è il romanzo storico, genere che unisce la passione per la storia alla predilezione per il genere popolare. Il lettore è attratto dall’aspetto esotico, desueto e pittoresco di usi e costumi antichi, ora attualizzati con una ricostruzione del passato più o meno fedele. Il romanzo storico si presta a rispondere nel modo più completo a queste molteplici esigenze mediante una felice sintesi di storia e immaginazione, una formula di cui lo scozzese Walter Scott è l’inventore.
A partire dagli anni venti dell’Ottocento, sebbene con un forte ritardo rispetto a quanto già avvenuto in Europa, il romanzo ottiene successo e diffusione popolari anche in Italia, divenendo il principale strumento di raccordo con il passato (altri strumenti fondamentali sono il melodramma e la novella in versi), anche se i letterati italiani hanno difficoltà ad accogliere un modello moderno e borghese di narrativa che contrappone alla consueta tradizione poetica una nuova oggettività di espressione. La forma e i contenuti del romanzo vengono ostacolati specialmente dai classicisti, perché caratteristici di quel movimento romantico che aveva generato tante polemiche nella retroguardia tradizionalista. Una volta affermatosi, tuttavia, il romanzo storico italiano si orienta su due modelli di narrazione, quello “pittoresco” di Scott e quello più aderente al “vero” di Manzoni.
Intorno agli anni trenta dell’Ottocento però, mentre la fortuna del romanzo storico cresce, nasce il romanzo realista, che si propone di ritrarre il vero con assoluta fedeltà e in ogni suo aspetto. La nuova realtà storica, che vede lo sviluppo della città, il consolidamento di una borghesia imprenditoriale, l’affermazione industriale e lo sviluppo della classe operaia, trova in questo tipo di romanzo la massima espressione: gli interni domestici della borghesia, i vizi, le aspirazioni e le miserie morali dei singoli, che cercano di salire la scala sociale, costituiscono la materia per la rappresentazione dell’uomo inserito all’interno del contesto politico e sociale di cui fa parte. Così il romanzo realista accoglie le sue più svariate dimensioni. Il motivo del carcere, della reclusione, si presta a suggestive analisi testuali. La prigione da un lato è il luogo dell’oppressione, dove sono rinchiusi i patrioti che partecipano ai moti liberali, dall’altro è il luogo dove l’individuo può isolarsi dalla società e riflettere su se stesso. La prigionia diventa perciò quasi una sorta di esperienza formativa, perché attraverso la solitudine e la sofferenza l’individuo riesce ad attribuire un valore profondo alle cose e a ricercare una più sincera comunicazione con il prossimo. Il carcere non è soltanto concepito come luogo reale ma anche come luogo dell’anima, perché l’individuo è perennemente prigioniero della società, della propria incapacità di comunicare, di se stesso, e questo annulla la differenza tra prigionia fisica e mentale.
Nel romanzo realista, impegnato nella ricostruzione del presente, eroi e personaggi di fantasia si scontrano con avvenimenti e personaggi della storia contemporanea. Il mito di Napoleone costituisce un aspetto particolare di questa tendenza: nel bene o nel male la carismatica figura del personaggio si impone fortemente nell’immaginario ottocentesco e la scena, reale o immaginaria, dell’incontro col personaggio diventa un vero e proprio topos letterario. Con il passare del tempo tale situazione narrativa tende però ad assumere un senso diverso: nelle “Confessioni di un italiano” di Ippolito Nievo l’interesse tende a spostarsi sul personaggio che incontra Napoleone mentre il grande conquistatore viene sempre più umanizzato e i suoi lati negativi rappresentati come piccole vanità, ipocrisie, meschinità.
Nella seconda metà dell’ottocento il romanzo storico entra decisamente in crisi. La tecnica narrativa alterna la prima e la terza persona, adotta un punto di vista interno, soggettivo, parziale e autoanalitico. Si sviluppa poi il filone umoristico, di ascendenza settecentesca, che sceglie il dialogo con la contemporaneità. L’io – narrante segue un racconto riflessivo e divagante, in cui si fondono serietà, brio, imprevedibilità. Il fervore etico e patriottico, che si era prima applicato alla storia passata comincia a estendersi all’attualità e a investire vicende e figure della vita contemporanea. La prospettiva del narratore onnisciente (il punto di riferimento obbligato è Manzoni) viene sostituita dalla voce dell’io narrante che è, al tempo stesso, attore e regista del racconto.


The teacher


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