Per una volta le Readers si sdoppiano.
La sparizione dalla scena per qualche giorno ha un suo perchè, e
abbiamo ritenuto fosse opportuno immortalarlo sulla piattaforma che
oramai è parte della loro vita. E' giusto che Libro Conduttore
divenga testimone attivo di una tappa importante: la laurea di una
delle Readers. Non tanto per l'entità del traguardo, quanto per una
Tesi di Laurea in Lettere che decidiamo di sfruttare, più di quanto
faccia la stessa Università (purtroppo).
Curando questo blog analizziamo testi,
ne parliamo e discutiamo come più ci piace. La cosa realmente bella
di una laurea in lettere è poterlo fare in maniera approfondita,
metterlo nero su bianco e poterne (seppur per poco) parlarne a tutti.
E oggi io, la neo-dottoressa, decido di condividere con il mio
piccolo mondo di lettori il mio lavoro sperando che, come accade con
tutti i nostri scritti, trasmetta qualcosa di me e dell'amore che le
Readers hanno per la letteratura.
Ho dedicato una tesi (e giusto qualche
mese) allo studio della letteratura teatrale. Tutto è cominciato
quando, cercando un argomento da proporre per il lavoro , l'ho
trovato guardando dentro me stessa. Ho ripreso tra le mani il libro
che ho tenuto con me da quando sono nata, l'ho risfogliato e mi è
immediatamente venuta voglia di parlarne a tutti. Perchè è un
regalo che la vita mi ha fatto, e le cose belle devono essere
condivise.
Sono cresciuta leggendo i libri che mio
nonno ha scritto prima che io nascessi, senza purtroppo poterlo
conoscere. Io li ho letti e riletti tutti e un nonno vicino, pur non
vedendolo, l'ho sempre avuto, grazie a quello che aveva voluto
lasciarci. Alla fine di un percorso di studi ho quindi deciso di
omaggiare lui e ciò che, ne sono certa, ha fatto si che io amassi
così tanto la letteratura. Ho ripreso il libro che di lui mi ha
sempre emozionato particolarmente e l'ho fatto leggere alla mia
professoressa. Abbiamo deciso di parlarne, di farne oggetto di
studio, di confrontarlo con un'altra grande opera e raccontare il
loro magnifico messaggio.
Tema principale è il teatro di guerra
ma anche, e soprattutto, la speranza.
Con l'espressione teatro di guerra ci
si riferisce ad un'idea di arte intesa come insegnamento, mettere in
scena un'esperienza così drammatica per poter da lì ripartire.
Quelle raccontate sono storie che nella guerra trovano la loro
corretta interpretazione. Non è la guerra in se che viene
raccontata, quanto più il modo in cui la società approccia ad essa.
“Napoli Milionaria” e “Il giorno
del Girasole”, le opere di cui ho voluto parlare, sono l'emblema di
questo tipo di teatro. Portano in scena l'atmosfera tipicamente
meridionale che la seconda guerra mondiale aveva profondamente
scalfito, costringendo il Sud Italia ad un profondo cambiamento.
Eduardo De Filippo, con “Napoli
Milionaria”, segna il passaggio non solo dalla Cantata dei Giorni
Pari alla Cantata dei Giorni Dispari, ma anche quello da un teatro di
puro divertimento ad uno di riflessione.
Le vicende della vita, ma soprattutto
della guerra, provocano un cambiamento radicale nei singoli
personaggi.
L'unico esempio di etica e moralità
costante in tutta la commedia è quello di Don Gennaro. Anche quando
il contesto storico e lo status della sua famiglia cambiano, egli
riesce a non perdere la dignità di uomo carico di quei valori
importanti che l'esperienza della guerra, vista da vicino, gli aveva
permesso di apprezzare ancora di più.
Se nel primo atto abbiamo di fronte una
famiglia umile, povera e schiacciata dalla miseria delle guerra che
riesce, però, seppur sempre meno, ad essere ancorata ad alcuni
semplici quanto profondi valori; nel secondo atto lo spettatore viene
catapultato in una dimensione del tutto diversa. La ricchezza ha
cambiato completamente donn'Amalia e il suo cambiamento influisce,
inevitabilmente, su tutta la famiglia. Donn'Amalia diventa l'emblema
della corruzione morale dell'Italia intera. Non è un caso che anche
i figli cambino e che la più piccola, Rita, si ammali. Lei, come
spiega poi proprio Don Gennaro, rappresenta il paese a cui la guerra
aveva tolto le speranze e a cui la ricchezza, poi, aveva tolto
l'etica.
Quella che Eduardo racconta in Napoli
Milionaria è una lezione di speranza, impersonificata proprio da Don
Gennaro. Anche lui cambia, ma solo in positivo. Ha compreso il
significato della sofferenza, dell'importanza di aggrapparsi a ciò
che nella vita davvero conta. E intende trasmettere tutto alla sua
famiglia, nonostante le difficoltà.
La guerra non è finita come tutti
pensano, le conseguenze le si stanno ancora pagando. Ma Don Gennaro è
fiducioso, sa che quella nottata passerà, che domani potrà essere
un giorno migliore.
E' proprio questo messaggio di speranza
che mi ha permesso di collegare Napoli Milionaria con Il Giorno del
Girasole di Luca Cicolella.
Sono due opere con storie diverse, ma
costituite dalla stessa voglia di portare in scena un'esperienza
forte e drammatica come quella della guerra per trasmettere, poi, la
forza di ripartire.
Luca Cicolella aveva
raccontato l'esperienza della guerra nella sua terra già in altre
sue opere ma, con Il giorno del girasole, decide di portare a teatro
una storia che arrivi dritta al cuore dei foggiani, raccontando loro
il passato e la speranza nel futuro.
Troviamo anche qui un
personaggio chiave che riesce, nonostante cambino le cose e passino
gli anni, a farsi portavoce di un messaggio ben preciso. Zì Antonio
è l'emblema della saggezza popolare, di quell'uomo del sud che non
vuole smettere di credere nella forza dell'amore e della speranza.
Anche questa storia, come
quella di Eduardo, si svolge tra il 1943 e il 1945. Foggia viene
completamente distrutta dai bombardamenti, che schiacciano sogni e
speranze dei sopravvissuti.
La guerra, in
quest'opera, cambia tutti, li costringe ad affrontare una realtà a
cui non erano preparati. Costringe i giovani, come Amelia e Franco, a
crescere in fretta, a dover scendere a compromessi per poter
sopravvivere. Anche qui lo spettatore si trova, tra il primo e il
secondo atto, a compiere un balzo temporale. Finiti i bombardamenti a
Foggia arrivano gli americani e tutto cambia. Ma c'è qualcosa che
non smette di accompagnare i personaggi di questo testo: è la fede.
Zì antonio la rappresenta, con il suo modo di far ragionare tutti,
con la sua volontà di non abbandonare Amelia e di far capire a
Franco che l'esperienza appena vissuta della guerra non deve
abbatterlo, ma solo permettergli di ripartire e ricominciare una
nuova vita.
Amelia aveva perso tutto
eppure, grazie a Zi Antonio, riesce ad affrontare ogni difficoltà, a
crescere e divenire lei stessa fonte di speranza per Franco che,
tornato dalla guerra, non crede più a nulla.
Anche il neonato amore
tra Zì Antonio e Mariannina, puro e intriso di serenità, è qui
chiaro segnale di una voglia di rinascita. L'amore, insegna Zì
Antonio, può andare oltre ogni tragedia, essere il motore di un
nuovo modo di guardare alla vita.
E anche quando arrivano
tempi migliori e la guerra è finita, non la si deve dimenticare.
Bisogna permettere che questa insegni alle nuove generazioni che la
forza del sacrificio genera speranza. Anche dopo un momento
drammatico, in se stessi si può trovare la forza per ripartire.
Lo dice proprio Zì
Antonio alla fine del testo: “Ma perchè? Perchè sprechiamo tutta
una vita per arrivare alla verità? Basterebbe volerci bene, recitare
con onestà la parte che ci assegna la divina provvidenza, ogni
giorno...Ogni giorno può essere il giorno del girasole.” Quel
giorno in cui, come spiega proprio Luca Cicolella, l'Italia volta
pagina e torna a sorridere ad una nuova vita.
Con la speranza che questo messaggio che, loro prima di me, hanno voluto trasmettere arrivi anche ai nostri lettori, non posso che augurarvi, come sempre, buona lettura.
F.R.
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