martedì 24 marzo 2015

Una tesi, un racconto e un messaggio

Per una volta le Readers si sdoppiano. La sparizione dalla scena per qualche giorno ha un suo perchè, e abbiamo ritenuto fosse opportuno immortalarlo sulla piattaforma che oramai è parte della loro vita. E' giusto che Libro Conduttore divenga testimone attivo di una tappa importante: la laurea di una delle Readers. Non tanto per l'entità del traguardo, quanto per una Tesi di Laurea in Lettere che decidiamo di sfruttare, più di quanto faccia la stessa Università (purtroppo).

Curando questo blog analizziamo testi, ne parliamo e discutiamo come più ci piace. La cosa realmente bella di una laurea in lettere è poterlo fare in maniera approfondita, metterlo nero su bianco e poterne (seppur per poco) parlarne a tutti. E oggi io, la neo-dottoressa, decido di condividere con il mio piccolo mondo di lettori il mio lavoro sperando che, come accade con tutti i nostri scritti, trasmetta qualcosa di me e dell'amore che le Readers hanno per la letteratura.
Ho dedicato una tesi (e giusto qualche mese) allo studio della letteratura teatrale. Tutto è cominciato quando, cercando un argomento da proporre per il lavoro , l'ho trovato guardando dentro me stessa. Ho ripreso tra le mani il libro che ho tenuto con me da quando sono nata, l'ho risfogliato e mi è immediatamente venuta voglia di parlarne a tutti. Perchè è un regalo che la vita mi ha fatto, e le cose belle devono essere condivise.
Sono cresciuta leggendo i libri che mio nonno ha scritto prima che io nascessi, senza purtroppo poterlo conoscere. Io li ho letti e riletti tutti e un nonno vicino, pur non vedendolo, l'ho sempre avuto, grazie a quello che aveva voluto lasciarci. Alla fine di un percorso di studi ho quindi deciso di omaggiare lui e ciò che, ne sono certa, ha fatto si che io amassi così tanto la letteratura. Ho ripreso il libro che di lui mi ha sempre emozionato particolarmente e l'ho fatto leggere alla mia professoressa. Abbiamo deciso di parlarne, di farne oggetto di studio, di confrontarlo con un'altra grande opera e raccontare il loro magnifico messaggio.
Tema principale è il teatro di guerra ma anche, e soprattutto, la speranza.
Con l'espressione teatro di guerra ci si riferisce ad un'idea di arte intesa come insegnamento, mettere in scena un'esperienza così drammatica per poter da lì ripartire. Quelle raccontate sono storie che nella guerra trovano la loro corretta interpretazione. Non è la guerra in se che viene raccontata, quanto più il modo in cui la società approccia ad essa.
“Napoli Milionaria” e “Il giorno del Girasole”, le opere di cui ho voluto parlare, sono l'emblema di questo tipo di teatro. Portano in scena l'atmosfera tipicamente meridionale che la seconda guerra mondiale aveva profondamente scalfito, costringendo il Sud Italia ad un profondo cambiamento.
Eduardo De Filippo, con “Napoli Milionaria”, segna il passaggio non solo dalla Cantata dei Giorni Pari alla Cantata dei Giorni Dispari, ma anche quello da un teatro di puro divertimento ad uno di riflessione.
Le vicende della vita, ma soprattutto della guerra, provocano un cambiamento radicale nei singoli personaggi.
L'unico esempio di etica e moralità costante in tutta la commedia è quello di Don Gennaro. Anche quando il contesto storico e lo status della sua famiglia cambiano, egli riesce a non perdere la dignità di uomo carico di quei valori importanti che l'esperienza della guerra, vista da vicino, gli aveva permesso di apprezzare ancora di più.
Se nel primo atto abbiamo di fronte una famiglia umile, povera e schiacciata dalla miseria delle guerra che riesce, però, seppur sempre meno, ad essere ancorata ad alcuni semplici quanto profondi valori; nel secondo atto lo spettatore viene catapultato in una dimensione del tutto diversa. La ricchezza ha cambiato completamente donn'Amalia e il suo cambiamento influisce, inevitabilmente, su tutta la famiglia. Donn'Amalia diventa l'emblema della corruzione morale dell'Italia intera. Non è un caso che anche i figli cambino e che la più piccola, Rita, si ammali. Lei, come spiega poi proprio Don Gennaro, rappresenta il paese a cui la guerra aveva tolto le speranze e a cui la ricchezza, poi, aveva tolto l'etica.
Quella che Eduardo racconta in Napoli Milionaria è una lezione di speranza, impersonificata proprio da Don Gennaro. Anche lui cambia, ma solo in positivo. Ha compreso il significato della sofferenza, dell'importanza di aggrapparsi a ciò che nella vita davvero conta. E intende trasmettere tutto alla sua famiglia, nonostante le difficoltà.
La guerra non è finita come tutti pensano, le conseguenze le si stanno ancora pagando. Ma Don Gennaro è fiducioso, sa che quella nottata passerà, che domani potrà essere un giorno migliore.
E' proprio questo messaggio di speranza che mi ha permesso di collegare Napoli Milionaria con Il Giorno del Girasole di Luca Cicolella.
Sono due opere con storie diverse, ma costituite dalla stessa voglia di portare in scena un'esperienza forte e drammatica come quella della guerra per trasmettere, poi, la forza di ripartire.
Luca Cicolella aveva raccontato l'esperienza della guerra nella sua terra già in altre sue opere ma, con Il giorno del girasole, decide di portare a teatro una storia che arrivi dritta al cuore dei foggiani, raccontando loro il passato e la speranza nel futuro.
Troviamo anche qui un personaggio chiave che riesce, nonostante cambino le cose e passino gli anni, a farsi portavoce di un messaggio ben preciso. Zì Antonio è l'emblema della saggezza popolare, di quell'uomo del sud che non vuole smettere di credere nella forza dell'amore e della speranza.
Anche questa storia, come quella di Eduardo, si svolge tra il 1943 e il 1945. Foggia viene completamente distrutta dai bombardamenti, che schiacciano sogni e speranze dei sopravvissuti.
La guerra, in quest'opera, cambia tutti, li costringe ad affrontare una realtà a cui non erano preparati. Costringe i giovani, come Amelia e Franco, a crescere in fretta, a dover scendere a compromessi per poter sopravvivere. Anche qui lo spettatore si trova, tra il primo e il secondo atto, a compiere un balzo temporale. Finiti i bombardamenti a Foggia arrivano gli americani e tutto cambia. Ma c'è qualcosa che non smette di accompagnare i personaggi di questo testo: è la fede. Zì antonio la rappresenta, con il suo modo di far ragionare tutti, con la sua volontà di non abbandonare Amelia e di far capire a Franco che l'esperienza appena vissuta della guerra non deve abbatterlo, ma solo permettergli di ripartire e ricominciare una nuova vita.
Amelia aveva perso tutto eppure, grazie a Zi Antonio, riesce ad affrontare ogni difficoltà, a crescere e divenire lei stessa fonte di speranza per Franco che, tornato dalla guerra, non crede più a nulla.
Anche il neonato amore tra Zì Antonio e Mariannina, puro e intriso di serenità, è qui chiaro segnale di una voglia di rinascita. L'amore, insegna Zì Antonio, può andare oltre ogni tragedia, essere il motore di un nuovo modo di guardare alla vita.
E anche quando arrivano tempi migliori e la guerra è finita, non la si deve dimenticare. Bisogna permettere che questa insegni alle nuove generazioni che la forza del sacrificio genera speranza. Anche dopo un momento drammatico, in se stessi si può trovare la forza per ripartire.
Lo dice proprio Zì Antonio alla fine del testo: “Ma perchè? Perchè sprechiamo tutta una vita per arrivare alla verità? Basterebbe volerci bene, recitare con onestà la parte che ci assegna la divina provvidenza, ogni giorno...Ogni giorno può essere il giorno del girasole.” Quel giorno in cui, come spiega proprio Luca Cicolella, l'Italia volta pagina e torna a sorridere ad una nuova vita.
Con la speranza che questo messaggio che, loro prima di me, hanno voluto trasmettere arrivi anche ai nostri lettori, non posso che augurarvi, come sempre, buona lettura.
F.R.


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